
Quando pensiamo all’artista tout court, il flusso di coscienza s’innesca vorticoso e nella sua corsa inarrestabile conduce a caratteri stereotipati quali genio e sregolatezza, stramberia, asocialità.
Ecco il Maestro mitizzato, quasi smaterializzato, irreale e intriso di alterità, tra i pochi eletti in grado di contemplare il perfetto mondo delle idee di platonica memoria.
Non è affatto questa la sensazione provata varcando la soglia dell’atelier Bombardieri. Stefano è presente con un carico d’inaspettata calma e disponibilità tali da risultare disarmanti.
Qui, in questo atelier/officina/fucina dove lavora con il padre Remo, le idee sono tutt’altro che aleatorie. La loro forma è materia tangibile che appare evidente non solo alla vista, al tatto, ma anche all’olfatto per l’amalgama degli “ingredienti” impiegati nella Creazione.
Le mani di Stefano hanno voce. Guardandole salta in mente il detto “avere le mani in pasta”, in questo caso però nel senso reale del termine! Sono le mani del lavoro che si immergono nella materia, forgiandone, plasmandone la forma. Sono mani che danno alla vita.
Conosciuto soprattutto per i suoi enormi animali in polistirolo e vetroresina, che “invadono” pacificamente anfratti urbani destando anche lo stupore del cittadino più distratto ed assopito, domando all’artista il perché di questi soggetti.
Stefano mi spiega che non vi è nulla che non sia legato al suo vissuto. Ha portato a “casa” con sé questi animali da quando, appena ventenne o poco più, ha iniziato a scoprire l’Africa insieme a suo padre; quando insieme a lui ha abbellito un intero villaggio del Malawi realizzando sculture in cambio di ospitalità. “Le abbiamo realizzate con i materiali trovati sul posto…Il mal d’Africa è reale, tutto è più forte: i colori, gli odori, il cielo…e quel tutto ti chiama prepotentemente, tanto che non lo puoi più dimenticare”. E con The Faunal Countdown, la prima rassegna di arte urbana “invadente” che sta pian piano lasciando Ferrara, i suoi “animaloni” hanno lanciato un grido d’allarme attraverso led luminosi inseriti come microchip nei loro corpi, riportanti il numero esatto di esemplari ancora esistenti prima della definitiva estinzione.
L’opera d’arte, quindi, veicolo di etica dal messaggio chiaro che penetra le persone e non rifugge il reale, lo esalta semmai in tutta la sua brutalità.
Resto infatti particolarmente colpita dall’installazione allestita poco tempo fa alla galleria Marchina di Brescia, di una forza che definirei pasoliniana per l’intelligente sarcasmo caustico.
Tra il fumo, come nebbia gelida che ammanta i campi di sterminio nazisti, un fascio di luce illumina una piramide di scheletrici Pinocchio emaciati e tumefatti. Lüge macht frei – la menzogna rende liberi – è la scritta che campeggia sopra ai loro nasi appuntiti, a prendersi beffa dei riguardanti tra i quali, forse, c’è ancora chi si domanda se tutto questo è realmente accaduto!
“Mi interessava il tema del negazionismo” asserisce Stefano “di coloro che ancora oggi, nel 2011, hanno il coraggio di affermare che l’Olocausto non è mai esistito, niente più. Il concetto è molto semplice, intendo così il mio “fare arte”: è un’idea che nasce dentro e prende forma, tutto il resto del lavoro lo lascio volentieri ai critici”.
Le ore volano. Stefano, gentilmente, mi accompagna dove alloggio. Mi chiede di impostare il navigatore satellitare, ma sbaglio clamorosamente… scoppiamo a ridere, mentre il puerile refrain di un’italica canzonetta ci accompagna alla radio.
Eleonora Sole Travagli
Stefano Bombardieri
The Faunal countdown
Lüge macht frei
http://www.stefanobombardieri.it/
http://www.marialiviabrunelli.com/index1.htm
http://www.galleriamarchina.com/