
Prossimamente nella Sala Oliva dell’Accademia dei Concordi di Rovigo si terranno due conferenze sul tema del Vedutismo: Tanja Carpinteri presenterà la nascita del genere e il suo evolversi nell’età aurea del Settecento veneziano; Roberta Reali analizzerà una serie di vedute tratte dai taccuini di Giovanni e Vittorio Biasin (di prossima pubblicazione per i tipi dell’Accademia) rapportandole alla pittura dei maestri veneziani del Sette e Ottocento.
Sorto per esigenza di conoscenza scientifica del territorio e di autoaffermazione dell’identità urbana, il genere del vedutismo trova le sue origini nel diffondersi dell’uso della prospettiva e della camera ottica in età moderna, tra Cinque e Seicento: rispettivamente lo strumento concettuale e quello tecnologico consentono alla Repubblica di Venezia di creare le prime, puntuali, visioni “tridimensionali” della città, come la famosa veduta di Jacopo de’ Barbari (1500).
Corrispondentemente all’ascesa del ceto borghese, la pittura si “laicizza” per veicolare il linguaggio di una nuova e più ampia categoria e, anche quando in primo piano il soggetto è di natura sacra, dal fondo ieratico dell’oro bizantino emerge lo spazio dell’architettura con il profondersi della natura nei dipinti di Antonello da Messina, Giorgione e Giovanni Bellini, declinato nei magnifici sfondi urbani di Gentile Bellini e Vittore Carpaccio. La superba resa cromatica acquista nuova luce e brillantezza grazie alla tecnica a olio recentemente importata dagli stati (mercantili) del Nord.
Tanja Carpinteri prende le mosse da questo particolare momento della pittura veneziana per introdurre il discorso sull’epoca classica del Vedutismo nella città lagunare, di cui gli esponenti maggiori sono il Canaletto, il Bellotto e Francesco Guardi.
Le vedute di Roma dell’olandese Caspar Van Wittel e di Luca Carlevarijs ispirano senz’altro la reinvenzione dello spazio veneziano ad opera del Canaletto, quest’ultima funzionale alla rappresentazione di una città che fin dalla sua fondazione si è sempre riferita al modello dell’Urbs Aeterna.
Tuttavia il fruitore non è più posto in relazione alla figura, all’entità sacra o al potere temporale, ma direttamente e forse “democraticamente”, con una città-stato che ormai ha perso il suo peso sul piano internazionale ed è divenuta, con i suoi monumenti, luogo autoreferenziale della rappresentazione della propria storia e passata magnificenza, in cui il cittadino è ridotto a coreografica ‘macchietta‘.
Inoltre il Da Canal si dimostra profondamente anticlassico nella ridefinizione del punto di vista rispetto alla topografia esistente (prospettive laterali, angolari, miste), nelle deformazioni dovute alla multifocalità della visione (e alle lenti utilizzate) fino a giungere alla riorganizzazione degli elementi urbani nell’invenzione del “Capriccio”.
La visione del Guardi in questo senso è più romanticamente velata d’emozione e di compartecipazione alle vicende dei lavoratori e del popolo minuto, sulle spalle del quale si regge la vita della città.
Bernardo Bellotto, sostanzialmente, si pone come il prosecutore del legato dello zio, sia a Venezia che all’estero, arrivando ad assumerne il nome.
La conferenza di Roberta Reali tratta dell’ultimo quarto dell’Ottocento, l’arco temporale in cui furono stilati i dieci taccuini di Giovanni e Vittorio Biasin, quando il vedutismo veneziano aveva ormai ampiamente superato l’apice della fase classica e, lasciatosi alle spalle il romanticismo di Turner e dell’epopea Risorgimentale, era approdato al verismo di Ciardi, Favretto, Zandomeneghi e gli altri artisti che raccolsero l’appello del Selvatico alla pittura di realtà.
L’immobilismo della Restaurazione, la sconfitta di Venezia, già consegnatasi a Napoleone e poi caduta in profonda miseria sotto l’Austriaco erano state, probabilmente, tra le cause del perdurare del Neoclassicismo per gran parte de secolo. Il primo degli stili storici fu, infatti, in gran parte concepito nella fucina dell’Accademia veneziana, grazie all’apporto del Canova e, tra gli altri, del decoratore Giuseppe Borsato, che collaborò con Percier e Fontaine all’elaborazione dei repertori d’ornato dell’antica Roma.
Il decoratore Giovanni Biasin fu allievo diretto del Borsato e di Francesco Bagnara, entrambi scenografi della Fenice, e da quest’ultimo trasse la vena paesistica dall’impianto scenografico aereo e luminoso. Dalla rivalutazione del passato e dagli esempi dei grandi vedutisti veneti nasce anche la tensione alla descrizione puntuale del monumento urbano, volta alla sua salvaguardia. Gli eventi risorgimentali e l’entusiasmo della liberazione, l’impegno per l’Italia unita, conducono a nuove interpretazioni della realtà urbana che influenzano il Biasin, coinvolto in prima persona nella difesa di Venezia: i grandi cicli sulla guerra (ma anche quelli balneari in periodo di pace) di Luigi Querena, con la visione aerea del bombardamento del ponte della ferrovia, e le celebrazioni notturne per l’Unità d’Italia di Ippolito Caffi, due esempi fra tutti.
Ben presto, tuttavia, la questione sociale emerge con forza e i due Biasin vivono l’impegno a favore degli ultimi in pittura, come nella vita, in sintonia con i grandi veristi veneziani. L’illusione della Belle Époque e lo stile Liberty saranno gli ultimi generi di riferimento per Giovanni e Vittorio, nei disegni, come nella pittura da cavalletto e, soprattutto, nell’ultima stagione dell’arte decorativa, in epoca prebellica.
Frammenti d’arte. Il vedutismo veneto
Accademia dei Concordi
Piazza Vittorio Emanuele II, 14 45100 Rovigo
30 settembre e l’8 ottobre 2013, ore 17.30
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