
Considerato tra i 50 registi migliori al mondo (“The Guardian”), autore di capolavori riconosciuti quali Moloch (1999), Toro (2001), Arca Russa (2002), Il Sole (2005), Faust (2011), già oggetto d’imitazione, al pari del maestro Tarkovskij, da parte dei cineasti americani (vedi Monuments Men di Clooney, 2014) il regista Alexander Sokurov (Leone d’Oro 2011) ritorna con il suo nuovo Francofonia sui temi favoriti della guerra e della salvaguardia del patrimonio culturale dell’umanità.
La rappresentazione artistica in tutte le sue forme è sempre presente nei film del maestro russo: in particolare, nell’ Elegia di un viaggio (2001) i lunghi piani sequenza del regista si soffermavano negli interni del museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam. In Arca Russa (2014), com’è noto, l’unità di luogo era il Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo, che attualmente ospita le gallerie dell’Ermitage. In Francofonia, presentato al Festival di Venezia 2015, il palcoscenico in cui l’arte e la guerra giocano la loro partita a scacchi era invece il museo del Louvre.

L’universo culturale e la brutalità della violenza sono forme di per sé inconciliabili, se c’è una, non può esistere l’altra. Non per nulla l’arte, testimone evidente delle vette cui giunge la natura dell’ingegno umano, è la disciplina più bersagliata anche nella storia del mondo contemporaneo, in cui la guerra tende ad abbrutire le popolazioni per dominarle.
L’intervista concessa da Alexander Sokurov al nostro fotografo Octavian Micleusanu sulla terrazza dell’Excelsior (07/09/15) s’incentra sul pensiero che sottende la filmografia recente del regista: dagli iniziali toni intimisti si giunge ad esprimere la poetica della “tetralogia del potere” per poi affrontare il rapporto con il direttore della fotografia e cineasta Bruno Delbonnel, e terminare con un accenno finale alla cinematografia moldava.
Octavian Miclausanu: Dai suoi film emerge la piena spiritualità della sua terra natale, specialmente dai lungometraggi Madre e figlio, Padre e Figlio, Confessione, Una vita umile, La voce spirituale, Salva e custodisci… Si sente l’amore per il suo paese, l’amore per una tradizione da cui sembrano nascere i film E’ così?
Alexander Sokurov: Vede, c’è un uomo in ognuno di noi, ed è l’uomo che si forma dopo aver intrapreso un percorso di studi. Io sono un uomo del diciannovesimo secolo e sono tuttora influenzato dalla mia formazione, che si è fondata sullo studio della letteratura europea e russa del secolo XIX. Io sono così perché il mio percorso mi ha portato fino a questo punto: ognuno di noi si forma secondo l’esperienza che avuto.
L’autore è se stesso, e per questo ogni messaggio s’identifica semplicemente con quello stesso del suo autore. L’uomo gira sempre intorno alla sua personalità.

O.M. Quale idea l’ha portata ha realizzare un film come Faust? Qual è il disegno o il simbolo che vi è sotteso?
A.S. Il film Faust non è una rappresentazione dell’opera di Goethe, ma un lavoro che rappresenta la conclusione della grande “tetralogia” che inizia con Moloch (su Hitler, ndr), prosegue con Toro (su Lenin, ndr), poi con Sole (su Hiroito, ndr), e infine con Faust. Il riferimento è alla tetralogia della grande scoperta in senso storico-culturale e artistico-culturale. In realtà è come la si potesse raffigurare con un cerchio, per cui da qualsiasi punto di vista guardi o si legga, si giunge al Faust. Si tratta di uno spazio artistico-culturale chiuso, percorrendo il quale si arriva sempre con certezza al grande capolavoro della letteratura tedesca, scritto nella lingua tedesca, con il linguaggio complesso di Goethe. Non mi sono basato su di una sceneggiatura.
O.M. Faust ricrea mirabilmente l’atmosfera del passato, è di fatto molto realistico, e la fotografia ha una gran parte in tutto questo.
A.S. Si, certo, per questo molto si deve al grande e straordinario direttore della fotografia Bruno Delbonnel (Il Favoloso Mondo di Amelie, Across the Universe, ndr.), famoso cineasta e amico. Il lungometraggio non è stato realizzato su di un palcoscenico con lo sfondo di uno scenario: solo Bruno Delbonnel poteva realizzare questo film e anche in questa occasione è stato molto apprezzato quale grande maestro.
O.M. Invece quali sono le similitudini tra i film Francofonia e Arca Russa?
A S. Il film Francofonia e stato girato al Louvre, a Parigi, in Francia. Il film Arca russa è stato girato all’Ermitage, a San Pietroburgo, in Russia.
O.M. Date le mie origini moldave, vorrei citarle un nostro straordinario regista, che lei conosce, Valerio Jereghi, che ci piacerebbe vedere a Venezia. Anche Jereghi ha prodotto dei film spiritualmente profondi, quali L’Eredità spirituale e Arrivederci, pluripremiato con riconoscimenti internazionali. Cosa può consigliare ai registi moldavi per emergere sulla scena internazionale?
A. S. Io non so quali consigli posso dare ai colleghi registi moldavi. Loro sanno già molto bene cosa devono fare: semplicemente è importante che ognuno faccia il proprio lavoro e che, nel percorso della vita, non si concentri solamente solo su se stesso e sul proprio spazio spirituale. Non bisogna dimenticarsi della proprie origini: noi portiamo sempre l’etica e l’estetica dei nostre radici.
O.M. Lavorando come lei ha fatto, con pazienza e costanza, è possibile giungere alla realizzazione di film apprezzati per la loro qualità?
A.S. La maggior parte dei registi cercano di creare qualcosa di significativo, che abbia un senso, e di questo fatto si può esser lieti. Nessuno ci aspetta da nessuna parte. Noi dobbiamo mostrare il nostro il nostro diritto di esistere e di avere dei valori.
O.M. Sono felice di averla conosciuta e di aver potuto porle alcune domande. La ringrazio per l’impegno e il cuore che lei mette nel cinema, e come pittore e fotografo desidero attestare la mia stima per lei e per il suo maestro ed amico, il grande regista russo Andrej Tarkovskij.
A.S. Le auguro il successo in futuro. Grazie e un saluto al regista Valerio Jereghi.
Octavian Micleusanu e Roberta Reali