
90 minuti, 14 miliardi di anni. Terrence Malick sceglie di posizionarsi tra l’uomo e l’universo, fondendo il suo sguardo con quello della natura, fornendo definitivamente alla macchina da presa uno sguardo altro, superiore, estraneo. L’occhio del regista diventa nel suo ultimo film un tutt’uno con la natura stessa.
Voyage of Time, presentato in concorso alla 73, Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia non è un documentario, bensì il racconto di un’avventura, di un’epopea che, celebrando la storia della vita, pone costantemente in ogni inquadratura la stessa identica domanda: che cosa significa essere qui, e ora, per noi esseri umani?
Da The Tree of Life (2011) in poi, il racconto cinematografico nella filmografia del regista texano si è fatto sempre più rarefatto e ripetitivo, sempre meno consistente. Il motivo è semplice: l’essere umano ha iniziato ad accompagnare la storia senza più esserne protagonista; l’attore è divenuto voce, la performance si è fatta silenziosa, composta di gesti, smarrita nel mondo, nelle metropoli, nella natura e nello spazio. Durante questo ultimo affascinante viaggio nel tempo, il regista prosegue la sua riflessione filosofica abbandonando effettivamente l’uomo come protagonista della storia, relegandolo ad uno spazio/tempo ridotto (pochi milioni di anni) che lo vede più come comparsa, e raccontando invece ciò che collega l’essere umano alla vita: l’occhio della natura guida lo spettatore in un viaggio fisico e spirituale totalmente immersivo, mostrando i momenti più rilevanti, poetici, toccanti e crudeli della storia dell’universo. Utilizzando il potere del cinema e le più avanzate tecnologie e conoscenze scientifiche, Malick ci mostra il nostro passato fatto di città stellate, collegate da autostrade galattiche, bombe di atomi, alleanze tra cellule che si sviluppano, si dividono, esplorano.

Dunque, che cosa significa essere qui, e ora, per noi esseri umani?, ci e si chiede Malick senza dare una risposta definitiva. Dell’umanità c’è una traccia che, in quest’ultimo film, assume un significato ancora più potente che travalica il ruolo narrativo spesso assegnatoli in altri film: la parola, la testimonianza, la voce narrante. In fin dei conti, senza l’essere umano non ci sarebbe narrazione della vita, ma solo la vita stessa.
Attraverso salti temporali che ci trasportano in un presente tetro, grigio e misero, Malick sembra voler far riflettere sulla condizione dell’uomo contemporaneo, come a voler dire che ora, qui, ci siamo noi, e che il futuro di questo mondo e di questa vita che ci è stata data dipende (in parte) dalle nostre scelte. Ma nel presente allora un’altra domanda di tipo morale risuona nella mente umana: come bisogna agire?
Con il passare dei minuti e degli eoni, la voce calda e rassicurante di Cate Blanchett ci conduce al termine (solo momentaneo) di questo viaggio nel tempo, all’oggi, lasciando intravedere una possibile risposta: responsabilità. L’essere umano può e deve essere responsabile di ciò che in fondo non gli appartiene e che gli è stato solamente affidato, la vita su questo pianeta.
Lucio Ricca
Voyage of Time: Life’s Journey
Terrence Malick
Germania
90′