
In poche parole, Dawn of the Dead è tutto ciò che il cinema horror contemporaneo non è più in grado di raccontare: il presente, la realtà. Gli zombi di The Night of the Living Dead, agli albori della New Hollywood e della controcultura, rappresentano il seme di un attacco spietato alla cultura dominante americana, alla casa, alla famiglia e a tutte quelle istituzioni che non erano realmente in grado di controllare il loro potere né di esercitarlo in modo adeguato, luogo di contraddizioni e ipocrisia. In questo secondo capitolo, la metafora del non-morto si evolve in modo ancora più elaborato. Siamo nel 1978 sia nella realtà che nella finzione, e il film nasce in uno dei periodi più bui della storia americana: la guerra del Vietnam è finita da tre anni, ma il trauma psicologico e sociale dato dalla consapevolezza della violenza causata è al suo apice. Romero questo lo sa. Come ha spesso dichiarato il regista, gli zombi non devono più essere considerati come dei mostri, bensì come una rappresentazione di quel che gli uomini sono diventati oggi. Sotto questa luce, il film diventa soprattutto metafora potente e critica del comportamento economico consumistico di una società ormai perdutamente capitalistica, nella quale uomini e zombi finiscono per essere travolti similmente da una sola apparente necessità: il desiderio di consumo, un desiderio sfrenato di acquistare cose. E la metafora non è poi così sottile: ispirati da un fatto realmente accaduto ai due registi (l’essere rimasti bloccati in un centro commerciale a causa di una tormenta di neve), un gruppo di uomini in fuga dagli zombi si rifugia proprio in un supermercato nei pressi di Pittsburgh. Qui, dopo aver eliminato tutti i mostri, i sopravvissuti trasformano il centro commerciale in un nuovo Eden nel quale poter ricominciare una nuova vita; ma ben presto altri nemici, razziatori motorizzati forse peggiori degli zombi, verranno a far loro visita per portargli via quel paradiso: così i protagonisti iniziano un’altra battaglia per la difesa di ciò che hanno di più caro e che hanno faticosamente conquistato: la merce stipata nelle corsie di un supermercato.
Insomma, il cuore del consumismo, il centro commerciale, è messo sotto attacco fino a divenire un luogo oscuro e inquietante che in quegli stessi anni Foucault avrebbe forse definito un’eterotopia, cioè uno spazio connesso a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere e neutralizzare l’insieme dei rapporti che essi stessi riflettono. Un luogo cioè che annulla, che si trova a metà tra la vita e la morte. Qualche anno più tardi, un altro filosofo francese, Marc Augé, lo avrebbe chiamato più propriamente non-luogo.
Di fronte a Politica, Filosofia e Storia, mostri, sangue e violenza passano in secondo piano. Questa è la forza del film e di molti altri horror realizzati in quegli anni. Questo è il limite del cinema horror contemporaneo che ha smesso di raccontare la realtà, troppo preso dal definire sempre più nei minimi particolari i suoi mostri e dal raccontare soggetti ormai triti e ritriti. Forse il nuovo punto di partenza per questo cinema di genere potrebbe essere una domanda che Romero, Argento e molti altri registi dell’epoca non esitavano a porsi: che cosa rappresentano oggi gli zombi, i vampiri, etc., prima ancora di essere mostri?
Lucio Ricca
Dawn Of The Dead– European Cut [Zombi, 1978]
Venezia Classici
Usa-Italia
George A. Romero, montaggio di Dario Argento
115’