
“Ben venga il caos perché l’ordine non ha mai funzionato” Karl Kraus
Andrea Segre, Veneto non solo nella fotografia (“Io Sono Li”; “Mare Chiuso”, “La Prima Neve”, tutti titoli da comunque aggiungere alla propria filmografia), ma anche nei modi di approcciare il mondo. Dalla regione più ricca e contemporaneamente più “impaurita” dal diverso di tutta la Penisola, un punto di vista, guarda caso, di denuncia sopita, di caparbia onestà verso lo Stato. Corrado è un alto funzionario del Ministero dell’Interno: in sostanza si occupa di internare la gente in Libia e lasciarla morire di stenti e botte nei Lager promossi da Prodi, Berlusconi e compagnia cantante. Insomma Corrado è un uomo retto, è il fulcro dell’occidente. L’uomo cerniera che sopravvissuto alla “morte di Dio” come se nulla fosse mai accaduto, esattamente come milioni di persone che siamo noi, la moltitudine. Corrado è di più: egli è funzionario di Stato, l’emblema dell’incorporazione prima Kafkiana e poi Biopolitica. E’ un militare della burocrazia attiva. Corrado è un agente risolutivo, lui è quella figura in ombra che serve a lubrificare d’olio l’apparato del Vecchio Potere secolare.
Ma è indubbio che, alla visione del film L’ordine delle cose del regista padovano Andre Segre – in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia come proiezione speciale – in molti siano rimasti colpiti dall’adesione di un film di finzione alla realtà di queste ore, in Italia e in Europa. L’ordine delle cose parla infatti di un funzionario del ministero dell’Interno italiano, Corrado Rinaldi, interpretato dall’attore trevigiano Pierpaolo Pierobon, incaricato dal governo italiano di occuparsi dei respingimenti in Libia degli immigrati irregolari. Nel film Corrado non è “il poliziotto cattivo”, non è lo sbirro senz’anima stereotipato, ma un uomo, padre di due figli adolescenti, che progressivamente capisce quale sia la realtà degli hub (stati di eccezionalità perpetua) per immigrati in Libia. Hub esattamente come quelli di cui hanno discusso pochi giorni fa il premier francese Emmanuel Macron, quello italiano Paolo Gentiloni e la cancelliera tedesca Angela Merkel assieme alle “esotiche” delegazioni dei capi tribù libici, in cerca di qualche pezzo a brandelli, del corpo del potere europeo.
Corrado vede uomini e donne ammassati in stanza sporche, caricati a forza su camion e rispediti nelle terre dalle quali scappano. E vede un uomo morto con segni di violenza chiuso in una cella di uno dei centri. È da lì che al film – scritto da Segre con Marco Pettenello, lo sceneggiatore degli ultimi film di Carlo Mazzacurati – s’imprime cesura, una svolta pericolosa quanto dire il vero.

Corrado non riesce a mantenere il distacco emotivo da una donna che cerca disperatamente di ricongiungersi al marito; il resto è cronaca vendibile per saghe Rai Film da seconda serata. Lo spessore dell’idea non corrisponde ai dialoghi dei personaggi, l’attore principale rimane teso tra il dilemma che accomuna ogni uomo – Legge o Istinto? Pare che oggi, se un autore non si occupa di rifugiati non possa essere tale. Quale piccola moda che porta alla disfatta delle idee… Insomma – non ci vuole di certo Hölderlin per capire l’irreversibilità dello status migratorio del mondo di oggi stretto tra carenze idriche e guerre pseudorobotiche.
“Ottimo” Paolo Pierobon come scrive dal Sole24ore Andrea Chimento, ma dove sta l’innovazione nella trama filmica? In ogni caso Segre stravince lo stupido e bieco gioco del pietismo a cui l’artista cinese Ai-Weiwei non si sottrae per ovvie ragioni di marketing.
Gaspar Ozur
74. Mostra Cinematografica Internazionale di Venezia
L’Ordine delle Cose
Sezione Progetti Speciali
Regia: Andrea Segre
Produzione: Italia/Francia
Durata: 112′