
Yvonne Farrell e Shelley McNamara iniziano la Biennale dove Alejandro Aravena l’aveva lasciata e immaginano un tempo presente/passato/futuro dove lo spazio dell’architettura si apre al dialogo con il pubblico, possibilmente con il sociale e anche con l’ambiente. Si presta attenzione ai materiali, a ciò che la natura dona, e che i nostri manufatti del passato lasciano in eredità al presente. Al Manifesto – appello di Farrel-McNamara ad un’architettura più generosa e umana, hanno risposto molti tra i più famosi architetti mondiali, e anche le partecipazioni nazionali hanno raccolto il guanto. L’immaginazione, così come lo fa la natura, irrompe negli spazi abbandonati, recuperati e restituiti al pubblico con minimi interventi architettonici. Si riscoprono i metodi costruttivi tradizionali accanto ai nuovi: il fascino del mattone, del legno, della terra cruda e dei dettagli curati in modo artigianale, accanto agli usi più raffinati del cemento armato.Gli stessi spazi espositivi della Biennale (pensiamo solo ai restauri in corso all’Arsenale, e al Giardino delle Vergini), partecipano – almeno in parte – al concetto di Freespace (spazio libero e gratuito) e Venezia è individuata come lo scenario ideale del dialogo con i cittadini e con i milioni di passanti che vi transitano, e quindi, del dialogo con il mondo.
I due architetti irlandesi hanno colto perfettamente questo punto, creando per l’esposizione 2018 due spazi fortemente evocativi e poetici, tramite l’accentuazione delle caratteristiche originarie di questi luoghi: le origini napoleoniche dei Giardini si riflettono nell’architettura d’impianto classicista, dal nucleo a pianta circolare e luce zenitale del Padiglione centrale, che viene decorato con grazia e levità d’impronta neoclassica, rievocando forme e colori dello stile Adam., reinterpretati in una sorta d’International Style, accento dominante nei progetti del padiglione. Si dipingono le soglie, nei passaggi da una stanza all’altra, collegando tra loro le singole sale e allo stesso tempo identificandole una ad una. Qui, così come alle Corderie, sono state tolte tutte le pareti fittizie e le coperture dei soffitti, scoprendo dettagli meravigliosi, come l’affascinante finestra sul Rio dei Giardini, realizzata nel soppalco dall’architetto Carlo Scarpa, con il motivo della Vescica piscis, che di lì a poco sarà ripreso nella Tomba Brion (1969-1978): gli interventi permanenti dell’architetto veneziano alla Biennale, che comprendono il Giardino delle Sculture (1952), soppalco del Padiglione Centrale (1968), il Padiglione Venezuela (1956) e il piccolo ingresso alla mostra, di fatto, risalgono, più o meno, dal 1952 al 1972.
Anche e soprattutto gli spazi delle Corderie sono stati completamente smantellati, così com’era nel desiderio di molti architetti, lasciando le nude pareti a vista e, soprattutto, sgombrando l’asse prospettico dell’infilata di colonne dell’edificio cinquecentesco, lungo più di 300 metri, quanto serviva per fabbricare le corde delle navi veneziane. Con un solo sguardo, rinnovato, ora, finalmente, si può abbracciare lo spazio interno, piuttosto oscuro e metropolitano delle Corderie, ritmato dalla luce naturale proveniente dalla fuga delle finestre laterali (e da quelle, artificiali che vertono sui progetti) con effetto pienamente underground.
16a Biennale Architettura
26 maggio – 25 novembre 2018
Giardini Napoleinici e Arsenale di Venezia
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