
Sabato 9 Marzo, il Bergamo Film Meeting ha inaugurato la sua competizione ufficiale con il film argentino Rojo di Benjamin Naishtat.
La pellicola ha sofferto forse il paragone con le precedenti proiezioni all’Auditorium di Piazza Libertà: il classico Les quatre cents coups ha infatti aperto la retrospettiva sull’attore-volto della nouvelle vague, Jean-Pierre Léaud, presente in sala.
Ambientato nella provincia argentina del ‘75, in una società sull’orlo del golpe fascista, il film intrattiene abilmente lo spettatore con il plot principale: Claudio (Darìo Grandinetti), avvocato borghese, ha una inaspettata lite in ristorante con uno sconosciuto forestiero di sinistra (Diego Cremonesi); i risvolti violenti della serata torneranno a tormentarlo tre mesi più tardi, quando un famoso detective televisivo si interesserà alle strane sparizioni che precedono l’avvento del regime.

La rinascita dei fascismi e il dirompere delle destre nazionaliste nel mondo contemporaneo spingono forse l’autore a interrogarsi nuovamente su uno spaccato della storia del suo paese.
Una serie di appendici narrative mettono in luce una società costruita sull’apparire e una borghesia dai tratti sostanzialmente violenti, pronta ad accogliere la dittatura di Videla, e che anzi la anticipa facendosi carico di crimini che restano impuniti grazie alla protezione esercitata dal suo potere. Nonostante ciò, il corollario infinito di situazioni minori e personaggi secondari altro non è che una corona di spine per la vera trama.
Rojo sceglie una regia grottesca per una società grottesca e non risparmia i suoi personaggi dalle continue derisioni della macchina da presa. La gravità della situazione politica è costantemente alleggerita da uno sguardo ilare, quasi farsesco, sino al finale che guarda all’assurdo.

Le innumerevoli imperfezioni tecniche, soprattutto nell’ambito della fotografia, incoerente per l’intera durata del film, non sembrano stonare con una regia da telenovelas argentina; non mi è chiaro poi se questo stile sia voluto, alla ricerca di un ulteriore grado di deformità, o se sia frutto di una produzione zoppa.

La scelta di aprire il concorso internazionale con la proiezione di un film tanto atipico è certamente da premiare. Rojo di Benjamin Naishtat, frutto di follia o forse di genialità, è un film che riflette sulla società contemporanea guardando alla storia e regalando sincere folgori di ilarità.
È una partenza confusa per la 37° edizione del BFM ma non per questo negativa.
Giovanni Merlini