
Nell ’anno in cui Biennale Arte torna tra i canali di Venezia, alla fine di giugno, per nove giorni, Biennale Danza giunge alla terza edizione sotto la direzione di Marie Chouinard. Edizione fortemente discussa in italia e a livello internazionale. Molte questioni rimangono incomprese riguardo alle scelte di premiazione dei Leoni e sulla costruzione generale del palinsesto.
Crediamo che al di là di tutti i commenti, articoli e social attivi che analizzano dettagliatamente le ragioni della critica, sia probabilmente più interessante fare una riflessione di ampio respiro sul settore Danza in modo trasversale, perché alcune delle contraddizioni che attraversano Biennale Danza si inseriscono in una tendenza più ampia su cui è giusto riflettere e porsi delle domande.
Senza screditare la coreografa Marie Chouinard, c’è da chiedersi se piuttosto possa essere saggio affidare la cura di un festival annuale a una figura professionale che possa appunto “curare” l’edizione e non per forza e sempre dare per scontato che sia un artista del settore, che seppur riconosciuto e con tutto il valore del suo lavoro internazionale non è detto che abbia le attitudini per disegnare un percorso di festival.
A fronte delle tantissime cose dette sulle scelte di consegne dei Leoni d’oro e d’argento, quasi tutte molto condivisibili, vale la pena aggiungere un aspetto non molto ricordato. La direttrice fin dalla sua prima edizione tre anni fa ci aveva raccontato del forte desiderio di premiare le donne, artiste, coreografe, dancemakers e su questo era stato infatti proposto un percorso dal Leone d’oro a Lucinda Childs e a Meg Stuart e il Leone d’argento a Dana Michal e Marlene Monteiro Freitas. Scelte opposte per l’edizione 2019, con motivazioni molto poco chiare. Nessuna direzione artistica di nessun settore di Biennale è obbligata a scegliere ogni anno a chi affidare i premi. L’oro delle pause.
Lisa Nelson, Nancy Stark Smith, Sasha Waltz, Debora Hay, Xavier le Roy, Lia Rodrigues, Alain Platel, Jan Fabre, Katie Duck, Julyen Hamilton, Marten Spamberg, Cena Onze, João Fiadeiro, DV8, Benoît Lachambre, Grupo Corpo, Dominique Mercy, Boris Charmatz, Wim Vandekeybus, Vera Mantero, Simone Forti, Jennifer Lacey, David Zambrano, Mathilde Monnier, Jan Ritsema, Sarah Michelson, Pa-f, Dominique e Françoise Dupuy, Anna Halprin, Daniel Levéillè, Jeremy Nelson, Iñaki Azpillaga, Ruth Zaporah, Robin Orlyn, La Ribot.
Solo alcuni tra i tanti artisti che potenzialmente sono meritevoli di un riconoscimento alla carriera per aver portato avanti un punto di vista originale e irripetibile. Una pluralità di contributi artistici al mondo della Danza che, al di là che piacciano o meno nello specifico di ogni singolo progetto di spettacolo, hanno dedicato la Vita all’arte della Danza con dedizione e ascolto dentro la comunità artistica e verso la società.
Qual è il valore simbolico di assegnare un Leone d’Oro dentro Biennale Danza a Venezia?
Qual è il circuito mediatico e il mercato della Danza a cui si accede grazie a un Leone d’Oro o Leone d’Argento ricevuto?
Quale il ruolo del pubblico? Riempire la sala, necessaria al set-up della scena, applaudire o esprimere una opinione critica e in dialogo con organizzatori e artisti?
Quale vogliamo che sia la relazione artistica, estetica, filosofica, politica e economica tra chi sceglie a chi assegnare il Leone e l’artista che lo riceve?
La direzione artistica di un festival quanto può determinare sul palinsesto, organizzazione e realizzazione di un evento internazionale e riconosciuto?
Dove sta il valore internazionale di una Biennale Danza se alcuni paesi non vengono mai invitati e altri partecipano spesso o sempre con più spettacoli e artisti?
Quale spazio di confronto artistico può offrire Biennale Danza Venezia? Si può superare lo sguardo colonizzato o non riusciamo ancora a trovare altre chiavi di lettura del presente, anche in un settore artistico così facilmente e potenzialmente democratico e orizzontale, come la Danza è nella sua essenza ontologica?
Per fare Danza oggi serve entrare nel mercato con un buon packing oppure portare avanti una ricerca artistica nel profondo?
A chi serve il mercato della Danza? Quali obiettivi ha? Si differenzia dal grande mercato dell’Entertainment o ne fa pienamente parte? Fare Danza oggi vuol dire fare un patch-work eclettico di qualsiasi tipo, più pieno di trasversalità possibili e -forse anche volutamente- senza nessuna danza in scena o l’arte della Danza è solida ed ha diritto ad esistere al di là del Teatro-Danza, degli artisti visivi auto-definiti coreografi e dance-makers, le svariate terapie che si appoggiano al movimento danzato?
In breve, la Danza è al centro di se stessa e della ricerca su di essa che l’attraversa o danzare oggi è ormai “vintage” per cui meglio accoppiarsi con la qualunque disciplina e poi dichiarare di fare performance, spettacolo, sperimentazione multimediale ecc. ecc.? L’ inter-disciplina annulla la Danza o la valorizza ?
Cosa significa danzare là dove tutto è sempre più digitale e non dal vivo?
Cosa significa danzare là dove non si accede alla rete elettrica e si può entrare in contatto solo con ciò che esiste nel momento e con il proprio corpo?
Che cosa vuol dire fare Coreografia oggi?
Che cosa vuol dire fare Danza oggi? Quale il valore umano, politico e artistico del danzare?
Vorremmo che queste prime domande siano uno stimolo al confronto.
Livia Marques
www.gnomix.net