Sonata neodada per Arman

Arman - Lo strumento artistico
Arman - Lo strumento artistico

Che cosa se ne fa un pittore di un violino?
Molti si saranno fatti questa domanda guardando – ancor oggi con sorpresa – gli strumenti musicali di Arman, famosissimi in tutto il mondo, di cui una selezione sarà esibita dal 20 maggio alla galleria Vecchiato di Milano.
Lo usa per dipingere, naturalmente. Anche se dipingere non vuol dire solo fare dei segni su di una tela, ma anche meditare sull’arte e sulla storia e agire nell’esistenza con nuovi prospettive e nuovi procedimenti.
Tutto duchampiano, ad esempio, il “taglio” cinematografico del violino di Arman, composto nel ritmo dell’assemblaggio-scultura-pittura che ne moltiplica l’immagine e ne fissa la sequenza nel movimento del concerto, che è anche la ragion d’essere dello strumento. L’oggetto di Arman è pittura tridimensionale e vitale, che parla di sé, della sua storia e della sua bellezza che scaturisce dalla dialettica degli opposti: morte (trasform-azione) e rinascita.
Prima di tutto morte del significato che l’oggetto ha nelle nostre menti e nella vita quotidiana: morte alchemica per fuoco, per arma da taglio, per distruzione di vario genere, per cristallizzazione, cementificazione, fusione in bronzo ecc… tuttavia nell’azione stessa, pittorica e plastica del distruggere, l’oggetto viene rigenerato a nuova e forse più elevata, senz’altro immaginifica, vita e significazione.
Per sinestesia, infatti, archi, pianoforti e ottoni si aprono e suonano colori al posto di note, perché nella visione intuitiva dell’arte, come insegnano la poesia di Rimbaud o gli studi del Bauhaus, la vibrazione luminosa ha già trovato corrispondenza con quella sonora.
Figlio di un antiquario e di una violoncellista, Arman ha ereditato la passione per la musica e per le  collezioni, evidente in opere come i ritratti-robot di compositori – da Bach a Philip Glass – che sono evocati nell’assemblaggio di pentagrammi, strumenti musicali e oggetti vari. Leggi tutto “Sonata neodada per Arman”

Anita Sieff nell’Ordine di senso

Anita Sieff, Installazione fotografica tra le vedute del Settecento, Museo Querini Stampalia
Anita Sieff, Installazione fotografica tra le vedute del Settecento, Museo Querini Stampalia

Si leva il sipario nel buio acceso da uno sciame di minuscoli led luminosi che vibrano all’unisono con un frinire di cicale: 5.000 hertz è la frequenza d’onda prodotta da questi insetti, sacri agli antichi egiziani, che ha come effetto fisiologico il riequilibrare l’attività dell’emisfero destro con l’emisfero sinistro del cervello umano.
Un’avventura piena di fascino l’esposizione di Anita Sieff, allieva di Antonioni, che coinvolge due piani del Museo Querini Stampalia di Venezia, iniziando con una serie di interventi nelle sale settecentesche del palazzo che ospita opere d’arte veneziana dal XV al XVIII sec.

Il suono è ciò che più affascina l’artista, per sua stessa ammissione: nella sala pompeiana risuona, in diverse lingue, la voce di Sieff: Hai tempo per me? E’ la voce della coscienza che ci richiama a guardare in noi stessi e a dialogare con il nostro io più vero.
Alcune foto che ritraggono una Venezia contemporanea e stravolta sono inserite tra settecentesche vedute di vita veneziana in sostituzione di tre dipinti di Gabriel Bella.
La musica di Mahler introduce ad un altro momento saliente della mostra, quello in cui i versi di Anita Sieff sul tema dell’abbandono incontrano quelli di Elena Mocenigo, moglie di Andrea Querini, per il marito lontano, nell’alcova di quest’ultima.

Al piano superiore dieci video in b&w rappresentano un freschissimo omaggio al film “L’avventura”, di Michelangelo Antonioni e di qui Sieff, talento poliedrico, sembra partire per l’allestimento di una serie di azioni e installazioni.
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Arman/Vecchiato: la petite exposition in dirittura d’arrivo

Arman
Opera di Arman

Si è da poco conclusa la petite exposition che la Galleria Vecchiato di Padova (sede bohemienne) ha allestito per ripercorrere le tracce della splendida carriera del maestro del Nouveau Réalisme Arman (1928-2005).
Vecchiato allestisce gli oggetti ritrovati dell’artista francese dal punto di vista privilegiato di chi ha conosciuto e collaborato con il pittore-scultore nizzardo che, nel 1960, ispirandosi a Rauschemberg e Jones  aderì al manifesto del Nouveau Réalisme con  Restany, Kline, Spoerri, Raysse, César, Villeglé, Christo,Tinguely, Saint-Phalle, Rotella.
Recuperando il gesto dadaista dell’appropriazione di oggetti banalizzati dal consumo, Arman li reinventa e, utilizzandoli come materia cromatica, li trasforma in opere d’arte: si tratta della riappropriazione sociale del reale da parte dell’artista-uomo.

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Il collettivo nell’arte: l’Allegoria del Trionfo di Venere del gruppo D.D.T

Inaugura il giorno 8 maggio Dal canto nostro, la prima esposizione collettiva di una serie di tre dedicata al Gruppo D.D.T. (Drago, Dadadopo e Trilling), formatosi a Roma nei primi anni Duemila attorno alla personalità del pittore Gian Paolo Berto. Esporranno accanto al maestro adriese le artiste Giorgia Marzi, Ilaria Rezzi, Alessia Severi.

Ogni pittrice presenterà la sua prova d’ammissione al gruppo, una personale versione della famosa  Allegoria del trionfo di Venere (1540-1545) di Agnolo Bronzino, nota anche come Venere, Cupido, la Follia e il Tempo, conservata alla National Gallery di Londra: un quadro, secondo Berto, in cui ci sono tutte le passioni umane.

L’originale è infatti un’opera manierista di rara bellezza, esplicitamente erotica. L’Allegoria rappresenta entro forme serpentine e cristallizzate, intrise di colori saturi, lapidei e brillanti, il potere illusorio dell’amore sensuale: la lussuria pietrifica l’uomo, analogamente allo sguardo della Gorgone,  facendolo regredire allo stadio alchemico primevo.
Il quadro fu offerto come dono dalla neonata Signoria fiorentina al re Francesco I di Francia, negli stessi anni in cui il granduca Cosimo I commissionava a Benvenuto Cellini un Perseo che, ormai liberatosi dalla tirannia delle passioni, vincendo Medusa, era inteso ad sancire pubblicamente il trionfo della giovane Signoria sulle vestigia della Repubblica.

Giorgia Marzi

La riproduzione di un capolavoro per Gian Paolo Berto è un invito, una provocazione a ricercare la propria cifra nella storia dell’arte: Giorgia Marzi presenterà una copia non fedele, ma interiorizzata, del sublime gioco di seduzione ed inganno di Venere e Amore raffigurato nell’opera del Bronzino. Accanto, figurerà  la storia di un’altra coppia “impossibile”, quella di Pinocchio e Alice, quasi un cartoon compiuto per mezzo della manipolazione grafica e concettuale della materia letteraria. Allieva di Sandro Trotti, Giorgia Marzi è formidabile ritrattista dal vero, rapida nel cogliere i moti dell’esistenza e dell’animo e nel siglarli con un segno che, come l’arte taoista, tende alla sintesi di narrazione e calligrafia.

Ilaria Rezzi
Ilaria Rezzi, Allegoria del trionfo di Venere d'après Bronzino

Ilaria Rezzi
Il primo d’après di Ilaria Rezzi coglie invece l’aspetto scenico della machina cinquecentesca e dalla semplificazione delle forme ne trae la contemporaneità, accentuando il carattere decorativo dell’opera. La sofisticata lascivia dell’episodio centrale lascia il passo alla grazia naturale della tenerezza e il colore, steso in grandi campiture, si spoglia della levigatezza marmorea pur conservando i timbri luminosi e facendosi sontuoso nella resa delle due cortine laterali del sipario d’après Hundertwasser. Ora l’artista sta lavorando ad una seconda versione dello stesso soggetto, realizzata con la moderna tecnica del collage. Infatti, nella pittura di Ilaria Rezzi spesso si riscontra, come in un fumetto, in una predella medievale o nella Pop Art, la compresenza di diverse immagini nello stesso quadro in cui ha luogo la narrazione del quotidiano, il realismo della metropoli, l’esperienza del viaggio vissuta nelle distanze geografiche così come nello spazio interiore dell’incontro con la storia e con le tecniche dell’arte.

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La fede nella pittura di Gian Paolo Berto

Venezia ed Entelechia
Venezia ed Entelechia

Ogni cosa è santa!
Ognuno è santo!
Ogni luogo è santo!
Ogni giorno
È nell’eternita’
Ogni uomo è un angelo.

Allen Ginsberg (Howl,1955)

Il rapporto di Gian Paolo Berto con il sacro è totalizzante: tutto ciò che accade è sacro. Ogni manifestazione della vita è un’epifania del divino, è l’entelechia che nel tempo tende a realizzare la perfezione già iscritta in sé stessa quale propria finalità. E’ l’errante che cerca la sua terra promessa. E’ il bambino che cerca la propria madre, è l’uomo che cerca la propria origine. In questo percorso egli consegna allo spazio/tempo dell’etere le tracce della propria memoria individuale (che è parte della memoria collettiva dell’umanità), declinandovi il proprio pensiero e lasciando che il concetto di sé si estenda così nel passato come nel futuro come un’effluvio, un colore, un’emozione espressa sulla tela.

Che sia un barbone, un ladro o una somma Entelechia (natura) quale fu Dante, come ebbe da dire Goethe, ognuno è in sé stesso sostanza ed espressione divina.

L’arte, la religione, il pensiero, la grande umanità di Gian Paolo Berto si fondano su questo religioso principio di unità , di compassione e coinvolgimento di tutti gli esseri alla realizzazione della grande opera dell’esistenza, tramite la realizzazione individuale di ognuno. L’arte è di tutto questo esercizio suprema ascesi e, ancora una volta, realizzazione. Leggi tutto “La fede nella pittura di Gian Paolo Berto”