R. Cascone, Copertina del libro “Artherapy. Curarsi con l’arte contemporanea.”, 2007.
Reduce dal web-project agostano “Come creare un’opera d’arte inutile” e in procinto di iniziare una nuova “operazione artistica ” rigorosamente top secret, l’artista e giornalista napoletano Roberto Cascone racconta ad AII scena e retroscena di alcune azioni ludico-creative che dagli anni Novanta fino ad oggi lo hanno visto protagonista, accanto a personaggi come Maurizio Cattelan, Paolo Rossi, Piero Chiambretti, per fare qualche nome, dalle performances di Mistika Zero e del Cattelan Funs Club, al tuffo nella psiche di Artherapy e alla poesia digitale delle sue Life forms. circa 25.000 immagini “pensate per il tessile e la ceramica, ispirate all’idea di forma e di vita, in particolare microscopica (virus e batteri)”.
Il tuo percorso artistico, ricco di esperienze eterogenee, sembra essersi svolto coerentemente all’insegna della “scienza delle soluzioni immaginarie”, la famosa Patafisica di Alfred Jarry. (se è vero) Come sei giunto a questo esito? Credo che l’arte, per come la intendiamo oggi in Occidente, sia davvero una soluzione… Leggi tutto “Roberto Cascone stories parte I – da Habermas a Mistika Zero”
Venerdì 6 maggio alle ore 18.00 alla libreria Pangea di Padova, nell’ambito del festival Padova Aprile Fotografia – I territori del corpo inaugura la mostra “L’Urlo” di Michele Mattiello. Il fotografo patavino giunge alla serie dell’Urlo come a una svolta rispetto alle esperienze precedenti e a una sintesi di anni di sperimentazione su mezzi e materiali della fotografia, incominciata fin da ragazzo quando seguiva con l’obiettivo a teatro il padre e il fratello mentre calcavano le scena. Il vero e proprio percorso di ricerca inizia nel 2004, quando Mattiello realizza dei reportage in alcune comunità gestite da Codess Sociale (onlus), in cui sviluppa una tecnica narrativa fondata sulla neutralità dell’osservatore e sullo zavattiniano “pedinamento” del soggetto: il “raccontare la realtà come una storia”, in un classico b/n. Qui incomincia l’esercizio d’empatia con il soggetto stesso che sarà fondamentale nella messa in scena di un “urlo” reale e si afferma l’idea di funzione auto-terapeutica della fotografia. Segue la serie “Tracce” (2007-2008), in cui lo scenario di pietra a Erto è espressione di un dramma consumato, quello del Vayont. La luce zenitale si staglia nettissima nel nero assoluto dell’ombra e definisce la qualità della materia. Il taglio espressionista dell’immagine segna l’inquietudine del male incombente. Nelle “Nature Morte” del 2008 la tragedia si compone nella catarsi del compimento e la contemplazione della morte rituale del maiale è resa nelle gradazioni di grigio in un sontuoso b/w digitale. Nell’Urlo il gesto assume una funzione liberatoria. Le barriere tra arte scenica, fotografia e realtà psicosomatica sono da considerarsi abolite. La nudità testimonia una ricerca esistenziale relativa alla condizione umana e alle sue profonde contraddizioni. Mattiello in questa serie ritorna all’uso del colore ed elabora un’originale tecnica di trasferimento dell’immagine: “L’urlo toglie al soggetto una seconda pelle, quella delle convenzioni e mette a nudo il proprio momento di debolezza. Togliere l’emulsione superficiale di una foto per trasferirla su carta, è togliere la seconda pelle della foto, spogliarla dal suo supporto”, afferma il fotografo. Una luce morbida, frontale, individua i volumi; la messa a fuoco e l’esposizione sono corretti. Il processo di trasferimento dell’icona genera la drammatizzazione della materia, che collassa, si raggrinzisce e si deteriora, ma anche quella della forma, che si altera e si fa ectoplasmatica, pur mantenendo intatta l’identità individuale del soggetto e la sua forza espressiva. Nitidissimi dettagli emergono dal fondo nero e caliginoso dell’immagine, che rievoca la qualità di un vecchio dagherrotipo. L’icona usualmente si compone di quattro foto che formano, dice Mattiello “un piccolo reportage sulla persona, un polittico”. Dall’esperienza fotografica dell’Urlo emerge la fluidità emozionale di sentimenti e paure che, sublimando, trasformano la realtà nell’evento condiviso della creazione di un’opera d’arte.
Dal 5 Febbraio 2011 Fond’Arte Tono Zancanaro espone una selezione di opere su tela e su carta di Vanni Cantà presso lo spazio Arte Paolo Maffei in Padova. Uno spazio evocativo dell’inconscio, primordiale, segnico e materico emerge dalle carte Senza titolo e dalle tele significativamente intitolate Lemuri, Sotterraneo, Rosso, Grigio, Alchimia dei desideri, Miracolo della luce. Non ha nome ciò che ancora è avvolto dall’oscurità del profondo mistero, quello stato alchemico della “materia al nero”, che Albrecht Dürer raffigurò emblematicamente nella celebre opera Melancolia I, laddove è rappresentato il processo di evoluzione umana, dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della piena coscienza di sé. Una trasformazione cui si arriva tramite un tipo di conoscenza diretto, sintetico ed intuitivo, più vicino alla pratica dell’arte e alla magia piuttosto che ai percorsi farraginosi del pensiero analitico, ingombro da idee distorte e pregiudizi. Nei lavori del pittore rodigino si mostra l’origine della forma nello spazio: l’ombra, la luce e la materia; l’arte agli albori della civiltà, in un segno che richiama il pittogramma tribale; l’inizio della consapevolezza umana, nell’emergere alla coscienza dell’inconscio collettivo. Ciò che affiora sulla superficie pittorico/mentale della carta o della tela avrà dunque la ruvidezza di una materia ancora grezza, non perfettamente levigata (non ancora in grado di riflettere la realtà): e le forme non saranno ancora tali ma vite sotterranee, ectoplasmi, fantasmi, che si aggirano inquieti nei reticoli e labirinti della mente alla ricerca del filo di Arianna. L’umanità, nei quadri di Vanni Cantà, si trova ancora prigioniera delle illusioni della caverna di Er. Leggi tutto “Pittura e alchimia nell’opera di Vanni Cantà”
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