Un’icona senza pari compie Ottant’anni

Gli Ottant’anni di Robert De Niro (Ansa)

Robert De Niro ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo del cinema con la sua versatilità, il suo talento e la sua dedizione alla recitazione.
Fin dai primi passi, ha dimostrato un talento innato e una passione per l’arte di interpretare personaggi. De Niro ha guadagnato il suo primo ruolo importante nei primi anni ’70 con il film “Mean Streets” di Martin Scorsese, dando il via a una collaborazione che sarebbe diventata una delle più fruttuose e celebrate del cinema.
De Niro è diventato noto per la sua capacità di trasformarsi
completamente nei suoi personaggi. Dal travagliato Travis Bickle in “Taxi Driver” (1976) all’impressionante Jake LaMotta in “Toro Scatenato” (1980), la sua gamma di interpretazioni eccezionali gli ha guadagnato una serie di riconoscimenti, tra cui due Premi Oscar.
Una parte fondamentale del successo di De Niro è stata la sua collaborazione con il regista Martin Scorsese. La coppia ha lavorato insieme in diversi film iconici, creando opere intramontabili come “Taxi Driver“, “Toro Scatenato“, “Cape Fear” e “The Irishman“. La loro sinergia ha prodotto alcuni dei momenti più indimenticabili della storia del cinema.
L’eredità di Robert De Niro è incisa nella storia del cinema. Con oltre sei decenni di carriera, ha accumulato numerosi
riconoscimenti, tra cui Premi Oscar, Golden Globe e BAFTA.
Ma la vera testimonianza della sua grandezza, al di là di questi luccichii, è il suo impatto duraturo sull’arte cinematografica e sulla cultura popolare, anche italiana.
Robert De Niro continua a coltivare un legame speciale con l’Italia, un paese che ha profondamente influenzato la sua vita artistica e personale. Questo legame è stato testimoniato non solo attraverso le sue interpretazioni memorabili nei film legati all’Italia, come “Novecento” di Bertolucci, ma anche attraverso la sua affinità per la
cultura, la cucina e il patrimonio culturale e gastronomico italiano.
Basti pensare alla visita di pochi giorni fa nel set di Paolo Sorrentino a Napoli, dove ha avuto modo di gustare la pizza verace di Ciro Oliva e Fiocco di Neve da Poppella.
Poi che dire del legame di Robert De Niro con il Molise? Una
regione relativamente piccola e spesso dimenticata, con una storia unica. De Niro ha sviluppato un interesse profondo per le sue origini molisane attraverso suo nonno paterno, che era originario di Ferrazzano.
Questo legame ha spinto De Niro a esplorare le sue radici molisane in modo più approfondito e a cercare di preservare e onorare la sua eredità familiare. Nel 2004, ha addirittura ottenuto la cittadinanza onoraria da parte di molti comuni molisani, tra cui Ferrazzano e
Campobasso.
Inoltre, De Niro è stato coinvolto in iniziative volte a promuovere il Molise e a preservarne la cultura e le tradizioni. Ad esempio, nel 2018 ha sostenuto la creazione dell’evento “La Notte dei Misteri“, che ha celebrato le tradizioni antiche del Molise attraverso
spettacoli e rappresentazioni artistiche.
Il suo coinvolgimento con il Molise non è solo un gesto di affetto personale, ma ha anche contribuito a portare attenzione su questa regione meno conosciuta d’Italia. Il fatto che una figura di spicco come Robert De Niro si interessi alle sue radici molisane ha contribuito a promuovere il patrimonio culturale e storico di questa regione e ha reso il Molise un po’ più visibile al mondo.
Tony Boncimino

Mario Nigro a Palazzo Reale

In un’estate in cui il caldo non risparmia nessuno, l’esposizione dedicata a Mario Nigro a Milano offre un’opportunità rinfrescante (e gratuita!) per immergersi nell’arte e nella cultura.

Opera firmata da Mauro Nigro esposta al Palazzo Reale di Milano

Un viaggio attraverso le tappe salienti della carriera di un
maestro dell’arte astratta spesso sottovalutato e fino a pochi anni fa dimenticato, come il pistoiese Mario Nigro, arricchisce l’animo di chiunque scelga di attraversare la soglia di Palazzo Reale.
L’esposizione, intitolata “Mario Nigro. Opere 1947-1992“, è il risultato di una collaborazione tra il Comune di Milano –
Cultura, Palazzo Reale, il Museo del Novecento e Eight Art Project, con la partecipazione dell’Archivio Mario Nigro.
Le porte di questa eccezionale mostra si sono aperte il 14
luglio, offrendo al pubblico la possibilità di immergersi
nell’universo creativo di Nigro fino al 17 settembre presso
Palazzo Reale e fino al 5 novembre presso il Museo del
Novecento.
Con oltre centoquaranta opere in mostra, e con una curatela precisa ed efficace, l’esposizione offre una panoramica completa della carriera artistica di Mario Nigro, dalla sua opera del 1947 fino all’ultimo capolavoro del 1992.
Tra quadri, sculture tridimensionali, lavori su carta e una ricca selezione di documenti, i visitatori avranno l’opportunità di immergersi nella vastità della produzione artistica di Nigro.
Particolarmente significative sono le opere che furono
esposte alle Biennali di Venezia e alla X Quadriennale di Roma, eventi che hanno contribuito a plasmare il suo percorso artistico.
La mostra non si limita a offrire una semplice esposizione
cronologica delle opere di Nigro, ma traccia i momenti chiave del suo linguaggio artistico in continua evoluzione. Dai primi anni Quaranta, caratterizzati da un’approccio sperimentale, fino alla maturità artistica, con un netto orientamento verso strutture compositive astratte e geometriche, l’arte di Nigro riflette un percorso di esplorazione e scoperta.
Le opere di Mario Nigro, nonostante il caratteristico approccio astratto, sono intrise di un’atmosfera narrativa in cui il “ritmo“, le “forme” e il “tempo” giocano un ruolo cruciale.
Tale approccio è il risultato di una profonda intersezione tra
l’arte, la musica e il sapere scientifico. La sua capacità di
tradurre concetti complessi in opere visive che parlano
direttamente all’osservatore testimonia la sua abilità di unire diverse discipline in un’espressione artistica unica.
Dan Bonahms

The Whale (2022) diretto da Darren Aronofsky

Charlie è un Professore di Lettere universitario che non lascia mai il suo appartamento.

Sadie Sink al photocall del film The Whale, di Darren Aronofsky, presentato alla 79° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Credits Octavian Micleusanu

Conduce le sue lezioni online, disabilitando la fotocamera del suo laptop in modo che gli studenti non possano vederlo. Anche la cinepresa, guidata da Darren Aronofsky e dal suo direttore della fotografia, Matthew Libatique, non si muove di casa per la maggior parte del tempo. Di tanto in tanto giusto una vista esterna dello squallido edificio basso in cui vive Charlie, o una breve boccata d’aria fresca sul pianerottolo davanti alla sua porta. Ma queste pause alimentano solo un pervasivo senso di reclusione.

Brendan Fraser, protagonista di The Whale di Darren Aronofsky, al photocall della 79° Mostra d’Arte Cinematogarfica di Venezia. Credits Octavian Micleusanu

Basato su un’opera teatrale di Samuel D. Hunter (a cui si deve la sceneggiatura), “The Whale
è un esercizio di claustrofobia. Piuttosto che aprire un testo legato al palcoscenico, come potrebbe fare un regista meno sicuro di sé, Aronofsky intensifica la stasi, il calamitoso senso di blocco che definisce l’esistenza di Charlie. Charlie è intrappolato – nelle sue stanze, in una vita che è andata fuori dai binari, e soprattutto nel suo stesso corpo.
È sempre stato un tipo grosso, dice, ma dopo il suicidio del suo amante, il suo modo di mangiare è andato fuori controllo”. Ora la sua pressione sanguigna sta aumentando, il suo cuore sta cedendo e i semplici sforzi fisici di alzarsi e sedersi richiedono uno sforzo enorme e un’assistenza meccanica.

Cast del film “The Whale” di Darren Aronofsky, con Brendan Fraser, Sadie Sink e Hong Chau sul red carpet del Palazzo del Cinema durante la 79° Mostra d’Arte Cinematografica d Venezia. Credits Octavian Micleusanu

La taglia Oversize di Charlie è il simbolo dominante del film e il principale effetto speciale. Racchiuso in un corpo di lattice, Brendan Fraser, che interpreta Charlie, offre una performance che a volte è di una grazia disarmante. Usa la sua voce e i suoi grandi occhi tristi per trasmettere una delicatezza in contrasto con la grossolanità corporea del personaggio. Ma quasi tutto ciò che riguarda Charlie – il suono del suo respiro, il modo in cui mangia, si muove e suda – sottolinea la sua abiezione, a un livello che inizia a sembrare crudele e voyeuristico.
“The Whale” si svolge nel corso di una settimana, durante la quale Charlie riceve una serie di visite: dalla sua amica e custode informale, Liz (Hong Chau); da Thomas (Ty Simpkins), un giovane missionario che vuole salvarsi l’anima; dalla figlia adolescente separata, Ellie (Sadie Sink), e dall’ex moglie amareggiata, Mary (Samantha Morton). C’è anche un fattorino della pizza (Sathya Sridharan) e un uccello che di tanto in tanto si presenta fuori dalla finestra di Charlie.

L’attrice Hong Chau sul red carpet del Film The Whale di Darren Aronofsky alla 79° Mostra d’Arte Cinematografica. Credits Octavian Micleusanu

A proposito, Charlie non è l’unica balena citata in “The Whale”. Il suo bene più prezioso è, inevitabilmente, un saggio studentesco su “Moby Dick”, la cui paternità viene rivelata alla fine del film. È un bel pezzo di critica letteraria ingenua – forse la migliore sceneggiatura del film –
su come i guai di Ishmael abbiano costretto l’autore a pensare alla trasposizione del racconto
nella propria vita. Forse i guai di Charlie sono pensati proprio per avere la stessa funzione del classico di H.Melville. Charlie stesso diventa il punto nodale nella sua rete di traumi e rimpianti, alternatamente agente, vittima e testimone dell’infelicità di qualcun altro. Ha lasciato Mary quando si è innamorato di uno studente maschio, Alan, che era il fratello di Liz ed era cresciuto nella chiesa a cui appartiene Thomas. Mary, una forte bevitrice, ha tenuto
Charlie lontano da Ellie, che è diventata un’adolescente ribelle e intrattabile. Il dramma esplode in raffiche di verbosità teatrale e balbettii. La sceneggiatura travolge la logica narrativa a favore dell’onestà emotiva. Purtroppo l’elaborato delle varie questioni comporta molti spostamenti di colpe e voli pindarici etici. Tutti e nessuno sono responsabili; le azioni hanno conseguenze e contemporaneamente non ne hanno.
Argomenti del mondo reale come la sessualità, la dipendenza e l’intolleranza religiosa fluttuano liberi da qualsiasi relazione credibile con la realtà. La morale che trasuda dalle urla (e dalla costante sollecitazione dei nervi dello spettatore ad opera della colonna sonora di
Robert Simonsen) è che le persone sono incapaci di disinteressarsi realmente l’una dell’altra.
Che lo si pensi possibile o meno, Herman Melville e Walt Whitman forniscono una giustificazione letteraria dell’idea, tuttavia l’esplorazione del potere dell’empatia umana in
The Wahle; è annullata dalla psicologizzazione semplicistica e dalla confusione intellettuale.

Il regista Darren Aronofsky al photocall del film The Whale alla 79° Mostra d’Arte Cinematografica. Credits Octavian Micleusanu

Aronofsky ha la tendenza a giudicare male i propri punti di forza come regista. È un brillante manipolatore di stati d’animo e un formidabile regista di attori, specializzato in personaggi che si fanno strada, attraverso angoscia e illusione, verso qualcosa come di trascendente.
Mickey Rourke lo ha fatto in The Wrestler, Natalie Portman in Black Swan, Russell Crowe in Noah; e Jennifer Lawrence in Mother; Fraser fa la sua impresa per unirsi alla loro
compagnia – anche Chau è a dire il vero eccellente – ma The Whale, come alcuni degli altri progetti di Aronofsky, è purtroppo travolto dalle sue grandiose e vaghe ambizioni, finendo per
risultare esagerato e fantasiosamente inconsistente.
Daniele Bonomelli

La 79ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia

“The Whale” diretto da Darren Aronofsky

Argentina, 1985 – Santiago Mitre

Riccardo Darin e Peter Lanzani, regista e protagonista del film "Argentina, 1985" alla 79° Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia. Foto Credits - La Biennale di Venezia
Riccardo Darin e Peter Lanzani, regista e protagonista del film “Argentina, 1985” alla 79° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Foto Credits – La Biennale di Venezia

I film dedicati a momenti storici importanti sono spesso segnati da una pesante solennità, un rispetto a volte soffocante che può far dimenticare che questi eventi abbiano coinvolto persone reali, esseri umani con passioni e debolezze.
Ciò è in particolar modo rischioso quando l’argomento è delicato e terribile come quello della dittatura militare degli anni ’70 e ‘80 in Argentina e della sua pratica di Guerra – rapimento, tortura, stupro e uccisione dei propri cittadini, drammaticamente noti come “desaparecidos”.
Tranquilli, non è questo il caso di Argentina, 1985.
Il nuovo film in lingua spagnola di Amazon – candidato dell’Argentina per l’Oscar 2023 – dà a questi crimini contro l’umanità ogni grammo di peso che richiedono e meritano, ma non dimentica mai l’umanità dei suoi personaggi. Ciò è particolarmente vero soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione del protagonista Julio César Strassera, il pubblico ministero a cui venne assegnato il compito apparentemente impossibile di imputare e condannare i capi militari responsabili di queste atrocità.
Lo Strassera del film non è un eroe, tutt’al più si sminuisce come un uomo di poca importanza. “La storia non è stata fatta dai tipi come me’, dice, e non è falsa modestia.
Non è dinamico o particolarmente carismatico. In effetti, fino agli eventi narrati nel film, non aveva precedenti
di difesa della giustizia contro i poteri costituiti.
Nelle mani del regista e co-sceneggiatore Santiago Mitre, del co-sceneggiatore Mariano Llinás e dell’attore protagonista Ricardo Darín (“Il segreto dei suoi occhi”), Strassera è il protagonista lento e costante ma che si potrebbe definire accattivantemente competente; e
interessante senza fare nulla per esserlo. Ovviamente questo ruolo si incastona perfettamente anche con il ruolo di padre della genuina, limpida e unita famiglia Strassera:
Santiago Armas Estevarena nei panni del figlio Javier, Gina Mastronicola nei panni della figlia Veronica e Alejandra Flechner nei panni della moglie Silvia. Le loro scene di vita famigliare sono educatamente informali e vive, mai forzate. Ognuno ha una personalità che emerge nel film, specialmente il giovane figlio Javier, entusiasta e di stimolo al padre nell’impresa di lottare per una impresa moralmente titanica . Le loro relazioni sono reali e i momenti tra loro
sono piccoli ma significativi. La famiglia ci invita nel loro mondo e ci fa preoccupare quando iniziano le inevitabili minacce di morte.
Non è una commedia a farci sorridere, ma è l’umorismo della vita di tutti i giorni che accompagna la famiglia Strassera nella sfida impensabile di restituire giustizia e dignità ad una Nazione intera.
Non riuscendo a reclutare grandi avvocati in quanto tutti compromessi con gli apparati di regime, Strassera viene aiutato da un gruppo di giovani, sconosciuti ma motivatissimi avvocati che si uniscono assieme, ciascuno per il proprio motivo personale. Di particolare rilevanza
sarà Luis Moreno Ocampo (Peter Lanzani). Questi personaggi, ancora una volta, si presentano a noi spettatori come vissuti umani, quasi chiedendoci di aiutarli a trovare la forza per lottare nella loro impresa.
Le commoventi testimonianze delle vittime sopravvissute sono sicuramente carbone per il fuoco della nostra voglia di giustizia, tuttavia il potere del film è derivato principalmente dalla sua forza di voler impedire che questa piaga autoritaria e terroristica si ripresenti in un futuro, in Argentina come altrove.

Le didascalie di apertura ci informano che l’Argentina ha subito oscillazioni tra governi democratici e colpi di stato militari per 50 anni prima dell’inizio della storia.
Strassera e la sua squadra di giovani hanno il compito di affrontare non solo coloro che avrebbero violato violentemente la legge in nome del ‘patriottismo’, ma anche coloro che avrebbero poi difeso quelle azioni.
Il procuratore si appella così, prima alla Corte riunita in tribunale e poi al Paese: “Questa è la nostra opportunità; potrebbe essere l’ultima”.
Daniele Bonomelli

La 79ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica

 

Arte è Donna a Mestre (Venezia)

Francesco Bianchi, Francesca Bonollo, Mestre, 2021
Francesco Bianchi, Francesca Bonollo, Mestre, 2021

Il fotografo Francesco Bianchi  ha documentato per Art in Italy “Arte è donna“, uno dei primi eventi post-lockdown che, lo scorso marzo, ha promosso l’esposizione diffusa  di 100 opere al femminile – di cui alcune sono ancora in mostra – nei negozi di vicinato della Municipalità di Mestre-Carpenedo.
Prevista all’interno del progetto Marzo Donna 2021., l’idea, nata in seno della Commissione delle Elette della Municipalità è stata coordinata da Fabians Rizza e da Monica Fortuna, rispettivamente come Presidente e Vicepresidente della Commissione stessa, al fine di promuovere piccole creazioni d’arte realizzate da donne, all’interno delle botteghe storiche del centro cittadino. In tal modo, si è voluto incentivare l’acquisto al dettaglio nei negozi del vicinato, in cui è ancora possibile il rapporto umano, offrendo alla cittadinanza un’opportunità di fruire la bellezza di oltre 100 quadri, fotografie, sculture e poesie. Un segnale di positività in un momento difficile per l’intero paese. Leggi tutto “Arte è Donna a Mestre (Venezia)”