Rapito di Bellocchio: Recensione da Cannes

Marco Bellocchio e il cast di “Rapito” al Festival di Cannes 2023

Con Rapito -che ha appena avuto la première in competizione a Cannes – l’indiscusso maestro del cinema italiano Bellocchio pesca ancora una volta dalla storia italiana, dopo l’ottima miniserie Esterno Notte, presentata l’anno scorso qui alla Croisette, questa volta per raccontare la storia di Edgardo Mortara, un bambino ebreo di sette anni che è stato separato dalla sua famiglia a Bologna per essere cresciuto come cattolico tra le braccia del Papa Pio IX.
“Perché?” la sua famiglia grida in mille modi diversi, impotente di fronte ai pezzi degli scacchi mossi dal Cardinale che portano via Edgardo (Enea Sala) nella notte in modo chiaro. Perché circola una voce secondo cui è
stato segretamente battezzato. Non ci sono stati testimoni, e nemmeno alla famiglia Mortara è stato comunicato chi o da dove sia partito questo rumore. Ma non importa. Le alte autorità della Chiesa devono dargli un’educazione cattolica, secondo la loro legge. E una volta che Edgardo arriva lì, si rende subito conto di non essere l’unico, una corte regale di
ragazzi prepuberi seduti al tavolo del Papa con lui.
La storia si svolge in un periodo significativo nell’evoluzione delle sfere religiose e politiche dell’Italia, dal 1854 agli anni ’70 dell’Ottocento, durante i quali il governo italiano ha ripreso gli Stati Pontifici dalla Chiesa, ne ha rimosso il potere politico ed ha unificato il paese nell’Italia che
conosciamo oggi. Pio IX (interpretato qui dall’ottimo Paolo Pierobon) è stato anche l’ultimo Papa a detenere il potere politico come capo della Chiesa Cattolica, e ciò si riflette nella rappresentazione di Bellocchio, con onde pulsanti di insicurezza e insignificanza che si irradiavano da Pio.
Nonostante la colonna sonora fredda che evoca l’orrore dei misfatti della Chiesa e alcuni momenti di buon cinema degni del maestro Bellocchio, Rapito si presenta più come un mélo a tratti didascalico che come un coinvolgente adattamento storico. La sua cinematografia tesa e oscurata ha dei discreti momenti, ma alla fine sembra incompleta e televisiva.
Segnaliamo infine il bellissimo appello alla laicità di Bellocchio con il suo discreto francese che abbiamo avuto l’onore di ascoltare durante la première a Cannes.
Dan Bonahms

Campari al Festival di Cannes

Una serata memorabile all’insegna del rosso Campari. Tra i tanti ospiti da tutto il mondo del Campari Discover Red si annoverano Alessandra Ambrósio, Charles Melton e Luke Evans. Non solo Venezia dunque. Campari è tornato per il secondo anno consecutivo al Festival de Cannes, di cui è partner ufficiale, e l’ha  fatto alla grande, organizzando l’ evento “Discover Red” al quale hanno partecipato numerose star del cinema e della moda.

Campari a Cannes. Courtesy gettyimages

La serata è stata un’occasione unica per gustare le creazioni culinarie dello chef Christian Sinicropi, fresco delle due stelle Michelin, che ha curato i quattro piatti del menu, mentre Tommaso
Cecca, responsabile dello storico “Camparino” nella Galleria
Vittorio Emanuele II a Milano, ha abbinato le creazioni di Sinicropi con sofisticati cocktail a base Campari,  ovviamente.
Tra le specialità si potevano gustare il classico Negroni, il Campari spritz, il Negroni Sbagliato e il signature Red Carpet—Edizione Cannes ispirato alla Riviera e al cinema.
L’evento si è tenuto presso l‘Hôtel Martinez by Hyatt.
“Essendo questa la seconda volta che siamo partner ufficiali del Festival de Cannes, l’obiettivo di Discover Red era creare una serata che riunisse le icone di Campari e del cinema, entrambe fonti di ispirazione indimenticabile”, ha dichiarato Julka Villa, responsabile del marketing globale del Gruppo Campari. “Come uno dei festival cinematografici globali più celebrati, il nostro evento ha tratto ispirazione dal fascino aspirazionale del Festival di Cannes, portandolo al livello successivo e offrendo l’esperienza
elevata che le persone si aspettano sia da Campari che dal
Festival. Per fare ciò, ogni momento di Discover Red ha catturato la relazione unica tra Campari, il cinema e il Festival, immergendo gli ospiti in questo mondo attraverso tutti i sensi e la serata è stata un altro ottimo esempio di come Campari superi le aspettative.”
Dan Bonahms

Cronenberg alla Fondazione Prada con le cere anatomiche de La Specola di Firenze

La Fondazione Prada non è nuova a collaborazioni con registi di caratura internazionale.

David Cronenberg, Cere anatomiche e disegni de La Specola esposti alla Fondazione Prada a Milano, da “Intoscana” web

Con la mostra “Cere anatomiche: La Specola di Firenze | David Cronenberg” si aggiunge un tassello fondamentale al progetto di ricerca che vede l’apertura ad altre importanti istituzioni museali, che è iniziata nel 2019 con “Spitzmaus Mummy in a Coffin and Other Treasures“, curata da niente di meno che Wes Anderson.
Per il progetto espositivo, la Fondazione Prada ospita nella sua sede di Milano parte della collezione de La Specola, facente parte del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, fondata nel 1775 dal visionario Granduca Pietro Leopoldo di Toscana.
Questa volta il curatore è il celeberrimo regista cult canadese David Cronenberg, fresco del successo critico del suo nuovo lungometraggio Crimes of the Futures.
La Specola ospita oltre 3,5 milioni di esemplari animali, la più grande collezione al mondo di cere anatomiche del XVIII secolo e la collezione del ceroplasta siciliano Gaetano Giulio Zumbo.
(1656-1701). Tra le opere in cera, di particolare bellezza e fascino, vengono presentate quattro figure femminili reclinabili, le cosiddette Veneri. L’esposizione milanese riunisce tredici ceroplasti raffiguranti modelli anatomici femminili con l’intento di focalizzarsi sulla rappresentazione dei corpi delle donne.
Tali modelli mostrano come il corpo femminile fosse visto in una società coeva puramente patriarcale, con un tocco artistico tanto inconfondibile quanto straniante, considerato che le cere furono create prima di tutto come strumento didattico per permettere di studiare l’anatomia del corpo umano.
Con questa operazione semantica le cere della Specola, esposte in Fondazione Prada, vengono ricontestualizzate, assurgendo a opere d’arte, comunicando con gli spazi concepiti da Rem Koolhaas.
A completare la mostra, un suggestivo cortometraggio del regista canadese, sempre affascinato dai corpi, che concentra il suo sguardo sull’espressione estatica delle Cere, ispirato dall’approccio artistico degli scultori dell’epoca.
Secondo il regista: «È stata questa scelta insolita degli scultori ad aver scatenato la mia immaginazione. E se la dissezione avesse indotto la sensazione di estasi, quel rapimento quasi spirituale?»
Dan Bonahms

Cere anatomiche: La Specola di Firenze | David Cronenberg
Milano, Fondazione Prada, 24 marzo – 17 luglio 2023

T Magazine apre la Design Week alla Villa Necchi Campiglio

T Magazine ha dato il via alla festa -ormai rituale- più esclusiva, per celebrare l’apertura delle danze dell’appuntamento meneghino per eccellenza, il Salone del Mobile, il più prestigioso rendez-vous mondiale del Design, che accoglie ogni anno migliaia di addetti ai lavori e non solo, da tutto il mondo.

T Magazine Party a Villa Necchi Campiglio (Portaluppi, 1937) nella cornice del parco allestito con le opere dell’artista spagnola Elvira Solana per il Salone del Mobile 2023

Gli ospiti si sono radunati nei giardini incantevoli dell’iconica Villa Necchi Campiglio, la residenza razionalista del 1935 disegnata dal genio architettonico italiano Piero Portaluppi, e che tre anni fa ha ospitato le riprese di House of Gucci.
Ogni anno viene invitato un artista diverso a creare un’installazione site-specific in più parti di Villa Necchi, sia all’interno che nel giardino.
Quest’anno abbiamo potuto notare la piccole case galleggianti sulla piscina della villa e le mastodontiche tele da tre metri circa dipinte dell’artista spagnola Elvira Solana, arricchite da tende di pregiato tessuto moiré granata, con motivo sofisticato, del prestigioso brand di tessuti made in Italy Dedar, interventi che hanno rivoluzionato l’atmosfera della villa.
Altre sgargianti casette, in prossimità del cancello d’ingresso, dai toni rosa e viola, potevano essere sollevate con facilità dai visitatori.
Oltre a ciò, nella sala da pranzo, la stessa Elvira Solana ha allestito piccoli e preziosi modelli di legno delle opere d’arte realizzate appositamente per l’evento.
Abbiamo avuto l’onore di esplorare gli interni della dimora pensata da Portaluppi, insieme ai partecipanti, la creme de la creme del design e della cultura mondiale, insieme alla redattrice di T, Ms. Yanagihara che intratteneva i suoi ospiti bevendo champagne intorno ai preziosi paraventi della villa.
Una serata a cavallo tra design e arte, in una location splendida, la Villa Necchi Campiglio, un gioiello nel cuore di Milano apprezzato da tutto il mondo.
La Redazione

Gli spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin)

Lo sceneggiatore e regista di “Three Billboards” e “In Bruges” Martin McDonagh (miglior sceneggiatura) riunisce Brendan Gleeson e Colin Farrell (coppa Volpi) in questa storia deliziosamente malinconica
ambientata nella più remota Irlanda degli anni ’20.

L’attore Colin Farrell, coppa Volpi come protagonista di The Banshees of Inisherin, del regista Martin McDonagh (miglior sceneggiatura), al photocall del film, nell’ambito della 79° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Credits Octavian Micleuusanu

Tragedia e commedia sono perfettamente abbinate in quest’ultima cupa e corvina impresa di Martin McDonagh, che, come il film precedente dello sceneggiatore-regista Three Billboards Outside Ebbing, Missouri (2017), si garantisce un’ottima posizione per la corsa ai prossimi Oscar.
Riunite le due star del lungometraggio d’esordio di McDonagh del 2008 “In Bruges”, il film ne racconta la
rottura improvvisa e inspiegata dell’amicizia, oscillando in modo formidabile tra l’esilarante, l’orribile e lo straziante.

Il regista Martin McDonagh, premiato per la miglior sceneggiatura di The Banshees of Inisherin, al photocall del film, nell’ambito della 79° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Credits Octavian Micleusanu

È il 1923 e sull’isola immaginaria di Inisherin si possono sentire i suoni della guerra civile irlandese dall’altra sponda del mare, fornendo il miglior rumore di sottofondo per le crude lotte intestine a cui assisteremo nella dimenticata Inisherin.
Ogni giorno alle 14:00, l’allevatore Pádraic (Colin Farrell) fa visita al suo migliore amico, Colm (Brendan Gleeson), e i due vanno al pub assieme, puntuali come il gallo. Sono una coppia improbabile ma apparentemente inseparabile: il primo un contadino semplice che può parlare per ore di sterco di cavallo; il secondo “un pensatore” che scrive musica, suona il violino e cade in preda ad attacchi di disperazione esistenziale. Le circostanze dell’isola li
hanno resi inseparabili, almeno fino ad un giorno qualunque, un cinematografico “Oggi”.

L’attore Brendan Gleeson nel bagno di folla del red carpet del film The Banshees of Inisherin, premiato con la miglior sceneggiatura e miglior protagonista maschile al 79° Festival del Cinema di Venezia. Credits Octavian Micleusanu

E“Oggi”, invece, è diverso. Quando Pádraic bussa puntuale alla porta di Colm alle 14:00 per andare assieme al pub, questo si siede semplicemente sulla sua sedia, fumando e ignorando l’amico dall’altra parte della porta.
Perché non dovrebbe aprirmi la porta?‘ Pádraic chiede alla sorella più intelligente Siobhán (Kerry Condon), con la quale condivide l’umile casa da cui lei deve costantemente cacciare l’amato asino e amico del fratello.
Forse semplicemente non gli piaci più‘, risponde Siobhán,
una battuta semplice che presto si rivela terribilmente vera.
Depresso dalla sensazione del tempo che scivola via e determinato a fare qualcosa di creativo con gli anni che gli rimangono, Colm ha deciso di escludere Pádraic dalla sua vita, liberandosi.
“Che cos’ha, 12 anni?” – lo prende in giro Dominic (Barry Keoghan), un ragazzo del posto che nutre il sogno di fidanzarsi con Siobhán, la solerte lettrice sorella di Pádraic, ma non ha speranze di scappare dal padre brutale e alcolizzato.
Colm è determinato e drammaticamente serio e fa una solenne promessa e minaccia: ogni volta che Pádraic gli parlerà, qualsiasi cosa dica, si taglierà una delle sue stesse dita che suonano il violino che ama.
Difficile a dire il vero non pensare ad un tocco dell’irlandese serie tv “Father Ted” nell’ambientazione e nella storia di un uomo anziano e scaltro che viene esasperato dal suo
compagno un po’ infantile in una remota località rurale dove la compagnia è limitata. (Quando Colm dice a Siobhán in cerca di spiegazioni per il fratello disperato, di non avere più spazio) libero per ospitare ottusità nella mia vita, lei gli risponde: “Ma tu vivi su un’isola al largo della
costa dell’Irlanda!”

L’attrice Kerry Condon sul red carpet del film The Banshees of Inisherin, premiato con la miglior sceneggiatura e miglior protagonista maschile al 79° Festival del Cinema di Venezia. Credits Octavian Micleusanu

Ma proprio come la guerra può trasformare bravi ragazzi in mostri, così questo conflitto con Colm consumerà l’innata bontà di Pádraic (in paese da sempre considerato uno dei ‘bravi ragazzi di vita’, trasformando il dolore in rabbia, la generosità in meschinità e l’amore in spietata vendetta.
Molti sono i momenti degni di risate citabili in The Banshees of Inisherin, che fondono la commedia delle improbabili coppie del cinema con la satira delle relazioni amicali tossiche.
Ma come suggeriscono i brividi delle note di Polegnala E Todora (Love Chant) da Le Mystère des Voix Bulgares, le preoccupazioni principali di McDonagh sono in realtà ben più metafisiche.
Intanto la vicina di casa di Sheila Flitton, la signora McCormick, assomiglia sempre più all’incarnazione della Morte di Bengt Ekerot de “Il settimo sigillo” di Bergman.
Ridiamo in sala quando Colm dichiara che mentre nessuno ricorda le persone simpatiche tutti conoscono il nome di Mozart; e Pádraic ribatte: “Beh, io no!” ma dietro la battuta si
insidia il terrore di essere dimenticati quando moriamo, ed è questo, piuttosto che qualsiasi problema di amicizia, il motore che sembra guidare l’automutilazione irrevocabile di Colm.
Visivamente, il direttore della fotografia Ben Davis e lo scenografo Mark Tildesley creano interni pittorici che ricordano le tele di Vermeer e le composizioni del regista danese Carl Theodor Dreyer, mentre il compositore Carter Burwell enfatizza le qualità fiabesche del film con ritornelli che suonano come filastrocche suonate su vecchi e incrinati vinili a 78 giri.
Per quanto riguarda invece il cast, si è di fronte ad un ensemble dalle note perfette, uno strumento impeccabile su cui McDonagh suona la sua danza macabra deliziosamente malinconica.
Daniele Bonomelli

La 79ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica
Gli spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin)  – Martin McDonagh