L’Arte dello schermo a Firenze/ Il collettivo IlGattarossa

Elena Bellantoni, The struggle for power the Fox and the Wolf, Italia, 2014, a L'Arte dello Schermo, Firenze, 2015
Elena Bellantoni, The struggle for power the Fox and the Wolf, Italia, 2014, a L’Arte dello Schermo, Firenze, 2015

Nel week-end del 20 e 21 novembre si è inaugurata a Firenze l’edizione zero de L’Arte dello Schermo. Un incontro e crocevia di immagini e pensieri legati alla videoarte.
L’idea è stata quella di raccogliere materiali video internazionali e mostrarli pubblicamente su di un grande schermo, oltre al prevedere installazioni video site-specific in spazi satellitari. La necessità era quella di aprire nuovi contesti di diffusione per la videoarte, una disciplina ormai conosciuta e affermata, ma sempre un po’ di nicchia tra il pubblico che la segue. L’iniziativa fortemente voluta e progettata dal collettivo di artisti indipendenti IlGattaRossa ha aperto gli spazi degli atelier e dei laboratori dellOltrarno dove loro lavorano -in via dei Serragli 75c – trasformandoli in un luogo di visioni e scambi con quotidiane sessioni di 4 ore divise in 2 tempi, pomeridiana e serale. Nonostante il freddo, la pioggia e un’intensa programmazione culturale che in città era in corso proprio durante quel fine settimana, l’evento è stato affollato e generoso negli scambi e nella curiosità dimostrata dal pubblico.
Questi i nomi degli artisti che hanno partecipato a L’Arte dello Schermo con una o più opere video: Asimodt, Pascal Ancel Bartholdi, Paolo Bandinu, Lucia Barbagallo, Elena Bellantoni, Richard Bolhuis, Matthieu Cherubini/Alessandro Ratoci, Francesco Ciavaglioli, Leone Contini Bonaccossi, Alessandra D’Innella, Gabriele Germano Gaburro, Alberto Gori, Giulio Interlandi, Rupert Raeger, Nicola Leone, Lele Marcojanni, Livia Marques, Mara Mattuschka, Luca Mauceri, Roberto Mezzano, Garvin Nolte, Ogino Knauss, Caterina Pecchioli, Yuri Pirondi, Mili Pradhan, Jacopo Rachlik, Titta Raccagni, Simone Scarpello, Arpan Thapa, Ines Von Bonhorst, C999  Leggi tutto “L’Arte dello schermo a Firenze/ Il collettivo IlGattarossa”

Uno sguardo nell’invisibile

Palazzo Strozzi«Durante un chiaro pomeriggio d’autunno ero seduto su una panca in mezzo a piazza Santa Croce […]. Ebbi allora la strana impressione di vedere tutte quelle cose per la prima volta. E la composizione del quadro apparve al mio spirito […]. Momento che tuttavia è un enigma per me, perché è inesplicabile».
Con queste parole Giorgio De Chirico ha descritto il momento in cui colse la rivelazione della realtà che precede la parola, il “grande silenzio” che possiamo ammirare nelle sue opere, spazi e geometrie aperte, piazze con figure solitarie e statue dalla sconcertante fissità, come ne “L’enigma di un pomeriggio d’autunno” del 1909, che aprì due decadi segnate dall’enigma della pittura del pensiero, la Metafisica.
A Palazzo Strozzi a Firenze l’occasione (fino al 18 luglio) per percorrere la via della pittura Metafisica segnata da De Chirico, Savinio e dai maestri della pittura che tentarono per mezzo dell”enigma la rappresentazione del mistero dell’inconscio, tra cui Ernst, Magritte, Carrà, Morandi, Balthus. Artisti di fama mondiale s’ispirarono alle atmosfere oniriche, ai dettagli ingranditi o rimpiccioliti, alle prospettive sfalsate, agli spazi deserti che creano suspance ed inquietudine in colui che fruisce dell’opera
De Chirico influenzò l’arte del Novecento in tutt’Europa: dal Surrealismo al Dada al Cubismo al mussoliniano “ritorno all’ordine”, reazione totalitarista all’esplosione delle avanguardie. A questo aristocratico italiano nato a Volos, in Grecia, formatosi in Francia e Germania e vissuto a Roma, l’avanguardia novecentesca riconosce la paternità della rappresentazione dell’invisibile e dell’inconscio: di ciò che sembra non esserci ma che in realtà informa tutto ciò che appare. Proprio di qui, dal simbolismo del linguaggio onirico, dal senso di spaesamento, dalle prospettive illusorie , prendono le mosse il Surrealismo e il Realismo magico di Carrà e Morandi. La pittura del Ventennio invece colse l’aspettto più esteriore della raffigurazione di monumenti, architetture e antichità classiche e la melanconia a cui si lega il senso di oppressione derivato dall’impossiblilità di un ritorno del glorioso passato italico. Nel caso di Balthus, la luce rivela l’improvviso insorgere di una sensualità prepuberale in uno spazio saturo di sottile erotismo. Da non perdere.