Lo sceneggiatore e regista di “Three Billboards” e “In Bruges” Martin McDonagh (miglior sceneggiatura) riunisce Brendan Gleeson e Colin Farrell (coppa Volpi) in questa storia deliziosamente malinconica
ambientata nella più remota Irlanda degli anni ’20.

Tragedia e commedia sono perfettamente abbinate in quest’ultima cupa e corvina impresa di Martin McDonagh, che, come il film precedente dello sceneggiatore-regista Three Billboards Outside Ebbing, Missouri (2017), si garantisce un’ottima posizione per la corsa ai prossimi Oscar.
Riunite le due star del lungometraggio d’esordio di McDonagh del 2008 “In Bruges”, il film ne racconta la
rottura improvvisa e inspiegata dell’amicizia, oscillando in modo formidabile tra l’esilarante, l’orribile e lo straziante.

È il 1923 e sull’isola immaginaria di Inisherin si possono sentire i suoni della guerra civile irlandese dall’altra sponda del mare, fornendo il miglior rumore di sottofondo per le crude lotte intestine a cui assisteremo nella dimenticata Inisherin.
Ogni giorno alle 14:00, l’allevatore Pádraic (Colin Farrell) fa visita al suo migliore amico, Colm (Brendan Gleeson), e i due vanno al pub assieme, puntuali come il gallo. Sono una coppia improbabile ma apparentemente inseparabile: il primo un contadino semplice che può parlare per ore di sterco di cavallo; il secondo “un pensatore” che scrive musica, suona il violino e cade in preda ad attacchi di disperazione esistenziale. Le circostanze dell’isola li
hanno resi inseparabili, almeno fino ad un giorno qualunque, un cinematografico “Oggi”.

E“Oggi”, invece, è diverso. Quando Pádraic bussa puntuale alla porta di Colm alle 14:00 per andare assieme al pub, questo si siede semplicemente sulla sua sedia, fumando e ignorando l’amico dall’altra parte della porta.
‘Perché non dovrebbe aprirmi la porta?‘ Pádraic chiede alla sorella più intelligente Siobhán (Kerry Condon), con la quale condivide l’umile casa da cui lei deve costantemente cacciare l’amato asino e amico del fratello.
‘Forse semplicemente non gli piaci più‘, risponde Siobhán,
una battuta semplice che presto si rivela terribilmente vera.
Depresso dalla sensazione del tempo che scivola via e determinato a fare qualcosa di creativo con gli anni che gli rimangono, Colm ha deciso di escludere Pádraic dalla sua vita, liberandosi.
“Che cos’ha, 12 anni?” – lo prende in giro Dominic (Barry Keoghan), un ragazzo del posto che nutre il sogno di fidanzarsi con Siobhán, la solerte lettrice sorella di Pádraic, ma non ha speranze di scappare dal padre brutale e alcolizzato.
Colm è determinato e drammaticamente serio e fa una solenne promessa e minaccia: ogni volta che Pádraic gli parlerà, qualsiasi cosa dica, si taglierà una delle sue stesse dita che suonano il violino che ama.
Difficile a dire il vero non pensare ad un tocco dell’irlandese serie tv “Father Ted” nell’ambientazione e nella storia di un uomo anziano e scaltro che viene esasperato dal suo
compagno un po’ infantile in una remota località rurale dove la compagnia è limitata. (Quando Colm dice a Siobhán in cerca di spiegazioni per il fratello disperato, di non avere più spazio) libero per ospitare ottusità nella mia vita, lei gli risponde: “Ma tu vivi su un’isola al largo della
costa dell’Irlanda!”

Ma proprio come la guerra può trasformare bravi ragazzi in mostri, così questo conflitto con Colm consumerà l’innata bontà di Pádraic (in paese da sempre considerato uno dei ‘bravi ragazzi di vita’, trasformando il dolore in rabbia, la generosità in meschinità e l’amore in spietata vendetta.
Molti sono i momenti degni di risate citabili in The Banshees of Inisherin, che fondono la commedia delle improbabili coppie del cinema con la satira delle relazioni amicali tossiche.
Ma come suggeriscono i brividi delle note di Polegnala E Todora (Love Chant) da Le Mystère des Voix Bulgares, le preoccupazioni principali di McDonagh sono in realtà ben più metafisiche.
Intanto la vicina di casa di Sheila Flitton, la signora McCormick, assomiglia sempre più all’incarnazione della Morte di Bengt Ekerot de “Il settimo sigillo” di Bergman.
Ridiamo in sala quando Colm dichiara che mentre nessuno ricorda le persone simpatiche tutti conoscono il nome di Mozart; e Pádraic ribatte: “Beh, io no!” ma dietro la battuta si
insidia il terrore di essere dimenticati quando moriamo, ed è questo, piuttosto che qualsiasi problema di amicizia, il motore che sembra guidare l’automutilazione irrevocabile di Colm.
Visivamente, il direttore della fotografia Ben Davis e lo scenografo Mark Tildesley creano interni pittorici che ricordano le tele di Vermeer e le composizioni del regista danese Carl Theodor Dreyer, mentre il compositore Carter Burwell enfatizza le qualità fiabesche del film con ritornelli che suonano come filastrocche suonate su vecchi e incrinati vinili a 78 giri.
Per quanto riguarda invece il cast, si è di fronte ad un ensemble dalle note perfette, uno strumento impeccabile su cui McDonagh suona la sua danza macabra deliziosamente malinconica.
Daniele Bonomelli
La 79ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica
Gli spiriti dell’Isola (The Banshees of Inisherin) – Martin McDonagh