Un’astronave nella Pineta. La Casa-Museo di Remo Brindisi

Casa-Museo Remo Brindisi, atrio centrale, foto ©Marco Caselli Nirmal

‘Villa Brindisi un’astronave nella pineta. Storia del Museo Alternativo tra Arte, Architettura e Design’ è il titolo della nuova guida della Casa-Museo già di Remo Brindisi a Lido di Spina (Fe), che lì sarà presentata dall’autrice, Eleonora Sole Travagli, martedì 17 agosto alle ore 21.00.

Un ambiente affascinante e luminosissimo – giocato sui bianchi, i vetri e gli specchi –  e concepito con straordinaria coerenza formale dall’architetto e designer Nanda Vigo nel 1971, assieme al pittore abruzzese, per ospitare la raffinata collezione d’arte contemporanea di quest’ultimo ed aprire finalmente al pubblico un ambiente in cui l’arte è vissuta nella quotidianità.
La casa infatti ospita opere di design, da Mackintosh a Munari e della stessa Vigo che ha curato in ogni dettaglio l’allestimento degli interni. In esposizione anche opere di artisti italiani, quali l’impressionista Medardo Rosso e, tra i post-avanguardisti, Savinio, De Pisis, Rosai, Sironi; del secondo novecento, Manzoni, Isgrò, Corpora, Murer, Ceroli, Vedova; infine sono ospitate opere di autori stranieri del calibro di Moore, Arp, Erst, Matta, Warhol, Christo.

Eleonora Sole Travagli, com’è nata l’idea della guida?
Sono nata a Lido di Spina e ho sempre apprezzato la casa-museo di Brindisi. Tre anni fa – racconta Eleonora Sole Travagliho scelto di presentare una tesina su questo soggetto all’Università di Ferrara (corso di operatore del turismo culturale). A questo fine ho preso contatto con Nanda Vigo, che mi ha ricevuta per due ore nella sua casa di Milano davanti ad un té giapponese. Da quel momento è emersa l’idea di una pubblicazione che oggi si è realizzata, anche grazie al contributo del fotografo di scena Marco Caselli Nirmal, che aveva esordito proprio con un servizio sull’architetto milanese.
Come ha lavorato Nanda Vigo?
Ha progettato la casa e ne ha seguito i lavori di costruzione ed allestimento. Ha creato ambienti originali, come la “stanza nera” e nessun elemento è lasciato al caso, tutto risponde alla concezione generale di un’arte che entra a far parte della vita dell’uomo.
Che tipo di collaborazione è intercorsa tra Vigo e Brindisi?
Direi una vera amicizia, dettata dalla sincerità che talvolta conduce alla “burrasca”, per esempio, Brindisi voleva un atrio centrale circolare, pensando al museo Guggenheim di NY e, Vigo, quadrangolare in stile razionalista. Alla fine il risultato è questo spazio cilindrico il cui diametro e l’altezza sono di dodici metri; lungo le pareti, sulla scala elicoidale, scorre un elegante corrimano in acciaio largo ben 20 centimetri.
Quali sono i maestri di Nanda Vigo?
Nanda Vigo non ama le etichette, infatti ha ammirato l’architettura organica di Frank Lloyd Wright tanto da frequentare la sua scuola d’architettura di Taliesin, in Wisconsin, ma poi se ne è andata quasi subito. Lo ritenne un despota in piena regola che aveva organizzato la propria scuola come un’istituzione militarista! Quindi si è recata a San Francisco dove ha lavorato in diversi studi di architettura, infine al suo rientro a Milano ha conosciuto Lucio Fontana e Giò Ponti, altri suoi numi tutelari e ancora, l’incontro con Piero Manzoni…Uno dei suoi punti di riferimento, ad ogni modo, è senz’altro la Casa del Fascio di Terragni.
Infatti lo spazio si presenta come un tutto organico
Qui il design si fonde con l’architettura e si realizza la fusione delle arti in cui predominano il bianco, l’acciaio, gli specchi, in una costante ricerca della luce e della spiritualità.
Ad esempio, Vigo ha creato “ambienti cronotopici”  in cui vetri satinati a specchio e neon creano il superamento della terza dimensione inducendo nel fruitore una diversa percezione spaziotemporale, oltre la bidimensionalità del quadro e la tridimensionalità della scultura, conducendolo all’interno di una dimensione spirituale. Leggi tutto “Un’astronave nella Pineta. La Casa-Museo di Remo Brindisi”

I percorsi dell’Utopia

Theodor Rehbenitz (1791 - 1861) Tobia e l’angelo - Foto: Andres Kilger SCALA/Art Resource, New York
Theodor Rehbenitz (1791 - 1861) Tobia e l’angelo - Foto: Andres Kilger SCALA/Art Resource, New York

In occasione della recente inaugurazione della mostra Utopia Matters. Dalle confraternite alla Bauhaus alla galleria Peggy Guggenheim di Venezia, percorriamo la traccia invisibile che unisce i temi dell’esposizione ad altri eventi attualmente in corso sul territorio nazionale.

Primitifs, Nazareni e Preraffaelliti, tra Sette e Ottocento scelsero di vivere un ideale romantico ritirandosi in comunità artistiche, privilegiando il contatto con la natura e il piacere del lavoro artigianale in contrapposizione alla dimensione disumana del lavoro industriale. Fondarono in tal modo una nuova estetica della natura e del vivere sociale. Il richiamo, tra gli altri, a Dante, Shakespeare, Keats e Ruskin, all’arte arcaica e alla pittura del primo rinascimento italiano, ispirò loro una pittura luminosa e ricercata, dai toni brillanti e dalle tematiche tratte dalla storie nazionali interpretate nello spirito del cristianesimo delle origini.

Tra i pittori di riferimento, con Perugino e Raffaello, vi fu il domenicano Beato Angelico, che dai preziosismi aurei del gotico internazionale seppe trarre una visione estatica e ieratica del dato naturalistico, considerato nella visione razionale della prospettiva rinascimentale e nella luce zenitale di cui farà tesoro Piero della Francesca.
All’Angelico è dedicata la mostra fiorentina Beato Angelico a Pontassieve. Dipinti e sculture del Rinascimento Fiorentino, fino al 27 giugno, cui è correlata, a Siena, fino all’11 luglio, Da Jacopo della Quercia a Donatello. Le arti a Siena nel primo Rinascimento. Leggi tutto “I percorsi dell’Utopia”

Champagne e stile Neofloreale al Salone del mobile di Milano

Design ed Art Nouveau figurano nella sintesi di Flower Table, un tavolino da Champagne creato da Noé Duchaufour per Perrier-Jouët.

É nel segno dei tempi un oggetto che ricrea l’eleganza lineare degli anemoni disegnati da Emile Gallé sulla Cuvée Belle Epoque del 1902, distillandone il canone nel filtro novecentesco per sortirne un’opera che esalta il grande edonismo di vecchi e nuovi ricchi.

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Il sogno dei Preraffaelliti

E. Burne-Jones, Musica,, olio su tela, The Ashmolean Museum, Oxford
E. Burne-Jones, Musica,, olio su tela, The Ashmolean Museum, Oxford

“La bellezza è verità, la verità bellezza, – questo solo sulla terra sapete, ed è quanto basta”, scrive John Keats sulla sua poesia più famosa, Ode to a grecian Urn (1820), notoriamente ispirata alla visione dei marmi del Partenone al British Museum.
Non si tratta della famosa sindrome da cui fu colpito il contemporaneo Sthendal, ma del mito del bello ideale cui si ispira il cinema d’oggi, con The Bright Star dell’australiana Jane Campion – che narra dell’amore del poeta inglese per la giovane ricamatrice Fanny Browne. Alla stessa nobile aspirazione si voterà, nella temperie dell’Inghilterra vittoriana, una confraternita di pittori inglesi, tra i quali William Holman Hunt e John Everett Millais, riunitasi nel 1848 attorno al figlio di un carbonaro italiano, Dante Gabriel Rossetti.
Omero, Dante, Boccaccio e Shakespeare, oltre ai romantici Blake, Keats, Shelley, Ruskin, Dickens sono nella letteratura tra i numi tutelari del movimento, ma in pittura i Preraffaelliti guardano, soprattutto inizialmente, al ritorno alla natura, al paesaggio e agli arcaismi dell’arte prerinascimentale in opposizione all’accademismo vigente; si rivolgono all’arte medievale di Giotto e al Quattrocento di Beato Angelico e Perugino, secondo l’esempio dei Nazareni, colonia di artisti tedeschi insediatasi a Roma (Lega di San Luca) e praticante il culto del cristianesimo delle origini.
Le immagini di Oxford e di Firenze e poi la Venezia di Ruskin si sovrappongono nei dipinti dai fondi chiari e bagnati e dai colori brillanti dei confratelli inglesi, ricchi di simbolismo, spiritualità, ma anche di sensualità e profusioni floreali e lineari anticipatrici dell’Art Nouveau. Leggi tutto “Il sogno dei Preraffaelliti”