Cesar Franck alla chitarra: il nuovo cd di Laura Mondiello

Veduta di Delft da una loggia immaginaria, 1663. Delft, Stedelijk Museum het Prinsenhof Collection of the Cultural Heritage
Veduta di Delft da una loggia immaginaria, 1663. Delft, Stedelijk Museum het Prinsenhof Collection of the Cultural Heritage

Tre tastiere, 46 registri, 2796 canne: è l’organo costruito da Aristide Cavaillé-Coll per la Basilica di Sainte-Clotilde a Parigi. L’organo di César Franck, che lo inaugurò nel 1859 e ne fu l’organiste titulaire fino al 1890, l’anno della sua morte.
In chiesa il divino va facendosi umano, ma quando parla con questa voce possente non si è ancora spogliato di tutto per salire sul Golgota con la croce.
Una magnificenza lontanissima dall’archetipo di chitarra, sei nude corde a far vibrare l’aria che si nasconde, piccola e buia, dentro il legno.
Si dirà che L’organiste, la raccolta di 59 piccoli pezzi scritti da Franck durante i suoi ultimi, malati mesi, è pensata per uno strumento diverso, l’harmonium, una specie di organo in veste da camera, che alla magniloquenza preferisce l’espressività: meno registri, ma più duttili nel graduare l’intensità del suono.

Laura Mondiello, La guitare et l’organiste, Stradivarius, 2013, STR33960
Laura Mondiello, La guitare et l’organiste, Stradivarius, 2013, STR33960

Non a caso venne ribattezzato orgue expressif. Eppure anch’esso capace di uno spiegamento notevole di forze musicali: di solito, uno o due manuali di cinque ottave ciascuno, un doppio mantice a pedaliera, un serbatoio dell’aria e quattro serie di ance o registri.
Tutt’altro che poco.
Tutt’altro che chitarra.

Eppure, nel realizzare il suo cd La guitare et l’organiste, recentemente edito da Stradivarius, la chitarrista Laura Mondiello non è stata affatto inibita da questa evidente disparità di forze, né, d’altro canto, ha cercato un approccio competitivo col modello fissato sulla carta dal compositore, alla maniera, per esempio, di Kazuhito Yamashita nel suo disco d’esordio, una trentina d’anni fa, con la provocatoria proposta dei Quadri da un’esposizione di Mussorgsky realizzati sulla chitarra. D’altronde la Mondiello ha forgiato il suo talento musicale alla scuola di Stefano Grondona, un artista capace di liberare la sua chitarra da qualunque cliché – si tratti di spagnolismi o presunti limiti strutturali dello strumento, poco importa – per trasformarla nella voce purissima di una consapevole fragilità umana, che trova la sua forza invincibile nel saper evocare mondi, e nel poterli possedere in quel solo, cruciale attimo del loro disvelamento.

Giuseppe Carter
Giuseppe Carter

Altrettanto significativa la sua partecipazione a diversi seminari di fenomenologia della musica tenuti da Konrad von Abel, il discepolo del grande Sergiu Celibidache.
Con queste premesse, è naturale che la via della trascrizione non sia per lei una condizione di minorità, da accettare obtorto collo, pur di colmare con letteratura illustre le presunte lacune nel repertorio originale del proprio strumento, ma anzi diventi un percorso naturale verso la musica come esperienza di vita, prima che fenomeno culturale.
Così, incuriosita dalla traccia lasciata da Segovia, che negli anni Venti aveva realizzato una versione per chitarra di quattro fra questi pezzi, la Mondiello si è dedicata a studiare l’opera intera, per capire se quel senso di confortevole quotidianità che emana da una raccolta pensata per l’uso liturgico del tempo ordinario, potesse avere delle affinità concrete, oltre che elettive, con la scrittura chitarristica. E nel distillare dal tutto ventotto miniature, ha trovato quella che lei stessa nel booklet del cd ha chiamato la sua loggia di Delft, ispirandosi al celebre dipinto di Vosmaer, in cui il pittore olandese realizza una veduta della sua città con la migliore acribia fiamminga, ma inquadrandola da un osservatorio fantastico: una loggia, appunto, inesistente. Se da quel punto di vista anche lo scorcio più consueto si arricchisce di particolari inaspettati, allo stesso modo i percorsi armonici di Franck, che sperimentano nuove relazioni, trasgressive del tonalismo, fino alla sua sospensione, acquistano nella riscrittura chitarristica dalla Mondiello la meraviglia della sorpresa.

Cesar Franck
Cesar Franck

Inattesa è la sua chitarra, eppure autentica, come lo era la visione di Daniël Vosmaer, e per spiegarlo forse può aiutarci un altro figlio illustre di Delft, quell’Ugo Grozio, che è stato il padre del giusnaturalismo moderno: il suo auspicio ad un diritto di natura, al tempo stesso fondato su principi universali e fondamento di ogni ordinamento giuridico positivo, mi sembra assai vicino alla consapevolezza di Vosmaer, che sa di creare un’immagine autentica della sua Delft, nonostante il punto di osservazione immaginario, proprio perché sotto quella sua personalissima loggia non c’è l’arbitrio, ma un sentire comune sotteso ed autentico, che tanto l’artista quanto il legislatore devono conoscere e rispettare per conferire verità al proprio agire.
A suggellare questo percorso interpretativo, un’opera ben più famosa: Prélude, Fugue et Variation op 18, tratta dai Six pièces pour Grand-Orgue, e rielaborata per due chitarre dal musicologo Matanya Ophee; qui la Mondiello è egregiamente affiancata da un musicista dal percorso assai simile ed intersecato con il suo, Giuseppe Carrer, da anni autorevole cultore del repertorio ottocentesco, e in particolare della prassi esecutiva della musica di Sor e Aguado, nonché membro dell’ensemble Nova Lira Orfeo, fondato nel 2002 da Stefano Grondona per la riscoperta del repertorio cameristico creato dal chitarrista catalano Miguel Llobet.
I ventotto brevi ma intensi episodi della giornata di un organista, o di un chitarrista, o forse di un uomo, che, al limitare delle tenebre, medita sul suo destino, diventano un itinerarium mentis se non ad Deum, almeno all’eterno, umanissimo divenire di un tema che si fa strada preludiando, prende forma e consistenza nella fuga, per trasfigurarsi nel variare, e fare ritorno al silenzio.
Nicoletta Confalone