La magia di Marina Abramovič ad Arte Fiera 2011

Marina Abramovic ad Arte Fiera di Bologna 2011, foto Eleonora Sole Travagli
Marina Abramovic ad Arte Fiera di Bologna 2011, foto Eleonora Sole Travagli

Anche quest’anno il sipario di Arte Fiera – e il suo pulsante cuore urbano, Art First – chiude a Bologna con un “abbrivio” che lascia il segno: il passaggio travolgente di Marina Abramovič, dea della performance, sempre più carismatica, magica come non mai.
L’abbiamo incontrata venerdì 28 gennaio, presso la gremita Aula Magna di Santa Lucia, in occasione della proiezione di Seven Easy Pieces, il suo film/documentario firmato dalla regia di Babette Mangolte e interamente girato al Guggenheim Museum di New York, in cui ridona vita a sette performance, omaggio sia a se stessa, sia a grandi performer che, negli anni ’70, hanno contribuito alla creazione dei cosiddetti Happening, quali: Gina Pane, Vito Acconci, Bruce Nauman…
Marina ha sottolineato l’enorme importanza della salvaguardia di tutto questo materiale che molto spesso, in quegli anni, non veniva documentato e svaniva esattamente al terminare di ogni performance – Mi rivolgo ai giovani artisti che vogliono avvalersi del materiale di quegli anni. Vorrei comunicare loro la corretta modalità d’uso: occorre chiedere il permesso all’artista, pagarne i diritti, e occorre elaborare una propria nuova versione dell’opera citando sempre la fonte da cui deriva. Tutto ciò non è mai stato fatto fino ad oggi, gli artisti hanno sempre e solo “rubato” dagli anni ’70 come del resto la moda, il design, il cinema ecc. tutti si sono avvalsi di questo patrimonio senza riconoscerne mai alcun credito, da cui la volontà di realizzare Seven Easy Pieces, con l’intento di salvaguardare, di documentare ciò che rischia di svanire nel nulla senza nessun riconoscimento. –
Indubbiamente ironico considerare “easy” le sette performance di cui è costituito il film, vedendole scorrere sullo schermo si assiste ad una Marina trasformata. Lei stessa asserisce che la durata di sei/sette ore che caratterizza ogni performance è un quid sopraggiunto con il tempo, non dato dalla forza fisica, bensì da una forza interiore, coadiuvata da disciplina, autocontrollo – quello che riesco a fare ora, a 60 anni, non riuscivo a farlo a 25 – racconta – Thomas Lips, ad esempio, è una performance del ’75 che feci per la prima volta ad Innsbruck. Allora durò solamente un’ora.
Una forza interiore che deriva dall’essere presente con anima e corpo nel preciso istante in cui tutto questo accade, hic et nunc, in questa dimensione il tempo non esiste e si è, semplicemente.
Di estrema importanza è poi il rapporto con il pubblico dal quale attinge e dona energia a sua volta, ma ben specifica – non faccio distinzioni tra una persona e l’altra, la cosa fondamentale è che ogni individuo sia presente altrimenti non si verifica alcun scambio. Del resto, tu potresti essere di fronte a me con il corpo ed essere ad Honolulu con la mente…

La presenza del pubblico è ciò che consente di realizzare anche questo tipo di performance particolarmente icastiche ed estreme. Marina afferma di non ricercare in alcun modo situazioni di dolore, di paura, di violenza nella sua vita privata, anzi! Di fronte alla domanda relativa alla realizzazione di una performance del suo stesso suicidio, risponde più volte – Io amo la vita!
Tuttavia sottolinea l’importanza delle esperienze traumatiche che caratterizzano la vita di ogni essere umano poiché è proprio da esse che si trae insegnamento, esse costituiscono la base per il cambiamento, la crescita, la trasformazione. Realizzare performance che “scandagliano” le paure ancestrali di ognuno di noi rappresenta un mezzo per estrinsecarle, comprenderle e trasformarle in forza – durante le performance io non sono altro che uno specchio nel quale si riflettono le paure che ci ossessionano: il dolore, la malattia, la morte. E’ un modo per guardare negli occhi la paura, brutalmente se vogliamo, ma il solo guardarla nel profondo ci consente poi di liberarcene. Dobbiamo riappropriarci della consapevolezza della nostra forza mentale, oggi sostituiamo tutto con la tecnologia e non ci rendiamo conto che questo ci rende “invalidi”, non ci avvaliamo più del nostro sentire, ricorriamo piuttosto al cellulare!
Ritorna inoltre insistentemente anche il numero sette: sette le performance del film, sette le ore di durata per ognuna. In effetti, è un numero a lei caro: sette sono le ore di apertura dei musei, ma sette è anche un numero magico legato alla sua passione per la numerologia…
Introducendo il suo nuovo progetto teatrale che andrà in scena al Manchester International Festival nel luglio prossimo, dal titolo Life and death of Marina Abramovič, in collaborazione con Bob Wilson e Willem Dafoe ci saluta, “vulcano Marina” senza dimenticare di abbracciare, nella sala gremita, gli amici artisti e galleristi che l’avevano accolta nella fervente Bologna degli anni ’70 , lasciandoci nella nostra personale ricerca di un equilibrio tra logica e passione, raziocinio e creatività.
Eleonora Sole Travagli

Marina Abramovič
Arte Fiera – Art First
Aula Magna di Santa Lucia
via Castiglione 26, Bologna
28 gennaio 2011 ore 21.00
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e UniboCultura
Dipartimento di Arti Visive
Culturalia
tel. 051-6569105
cell. 392-2527126
www.ladyperformance.it

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Biennale Architettura/Street training: l’uomo incontra la città nel flusso della performance


Lottie Child - Street training performer
Lottie Child

Come d’accordo, mi ritrovo in una serata estiva a Rialto con l’amica Amy e Lottie Child per un insolito tour veneziano, nel quale ricopro il doppio ruolo di guida e  turista al tempo stesso.
Lottie Child è un’artista londinese, ricercatrice, performer, capoerista, nonché fondatrice dello Street Training, un network internazionale di persone che tramite delle azioni concrete e spontanee interagisce con l’ambiente e, con l’utilizzo delle proprie esperienze personali, non solo influenza le sue abitudini comportamentali, ma anche il territorio col quale si confronta.
Lottie è qui per dar vita al suo nuovo lavoro, in collaborazione con il Muf – Architecture/Art, uno studio di Londra, che sfocerà poi in un progetto da esporre  in occasione della 12° Mostra Internazionale di Architettura di Venezia, intitolata People Meet Architecture, presso il padiglione Britannico ai Giardini della Biennale.
Come promesso, quindi, le accompagno in giro per la città seguendo un percorso che ho scelto per l’occasione. Loro sembrano entusiaste e anch’io a dire il vero, anche se (nonostante mi sia documentata) non ho alcuna idea di quali saranno le richieste dell’artista, né le domande che mi verranno poste, tanto meno i metodi che utilizzerà per interagire con l’ambiente.
Lo Street Training richiede vari tipi di approccio, la maggior parte dei quali inusuali come:  salire le scale all’indietro, saltare le recinzioni, scivolare sulle ringhiere, sdraiarsi sopra o sotto degli oggetti, arrampicarsi sugli alberi o sui muri, nascondersi, fare smorfie, etc. I manuali infatti, sempre in fase di aggiornamento, contengono un’ampia varietà di metodi per utilizzare lo spazio pubblico.
La regolare pratica – dice Lottie – aiuta gli street trainers ad apportare dei cambiamenti positivi sia in loro stessi che nell’ambiente. Durante le lezioni si imparano le tecniche e si inizia a renderle proprie, fino a farle diventare istinto, così da poterle utilizzare regolarmente nella vita quotidiana”. Esistono dei codici da utilizzare durante l’allenamento, legati ai sensi e all’emotività del singolo individuo coinvolto e a quello che egli vede nel comportamento degli altri. Le idee talvolta risultano contrastanti, come le diverse sensibilità dei partecipanti.
Durante le sessioni, percorriamo la linea tra la creatività e il comportamento antisociale; usiamo la strada in maniera più gioiosa e più creativa, espressiva, coraggiosa, atletica e giocosa”. (*)
Certo può risultare complesso raccontare la città in cui si vive a chi non la conosce, rispondere a quesiti che non si è soliti porsi, perché dati per scontati, senza contare il “fattore lingua”. La situazione è informale, Lottie mi interroga su questioni dapprima più personali, poi più specifiche al suo argomento. Mi racconta di come i cittadini di Londra e delle altre città esaminate, preferiscano osservare i propri luoghi ed io le illustro quali, a mio avviso, siano i tre criteri per visitare al meglio Venezia. Ovvero: via terra, via mare e dall’alto, e di come diverso sia il rapporto tra spettatore e spazio, nei differenti modi. Ne rimane affascinata, quindi a fine percorso mi chiede di vederci nuovamente per fare colazione sulla mia altana, osservare la città dall’alto e concludere il suo “viaggio” con me.
E’ proprio in questa occasione che decido di porle alcune domande.

Lottie Child: come cambiare il mondo nel proprio piccolo


Cos’è lo Street Training?

E’ l’arte di esplorare in modo sicuro e con gioia, noi stessi e lo spazio che abitiamo. E’ l’essere consci degli effetti che i nostri pensieri e i nostri comportamenti hanno sull’ambiente che ci circonda; sfruttando tali conoscenze siamo in grado di sviluppare una “nuova” consapevolezza sulle strade.

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