54a Biennale Arte / The Turrel Experience

James Turrel, Cross Corner projection, Palazzo Contarini degli Scrigni, Venezia, ca. 1966 -2011. Foto Herta Manenti
James Turrel, Cross Corner projection, Palazzo Contarini degli Scrigni, Venezia, ca. 1966 -2011. Foto Herta Manenti

Siedi nel silenzio, volgiti all’interno e “accogli la luce”: James Turrel, discendente di una famiglia Quacker, ne eredita l’assioma e lo trasforma in opera d’arte. Amato e odiato, l’artista californiano sta spopolando alla 54a Biennale Arte con Ganzfeld Apani, un lavoro ambientale che si trova in esposizione alle Corderie dell’Arsenale, ma anche con la più classica Cross Corner projection collocata a Palazzo Contarini degli Scrigni nell’ambito di un evento collaterale dedicato agli artisti californiani degli anni Sessanta, sul sottile crinale che divide Astrattismo e Pop art.
Oltre all’eredità quacchera, Turrel s’ispira alla filosofia platonica e a quella del Tibet, all’ermetismo egiziano e alla sapienza degli Henge britannici. Compiuti gli studi di psicologia, matematica e geologia, l’eclettico Turrel – pilota cartografo, obiettore di coscienza in Vietnam –  fin dagli anni Sessanta, si cimenta in opere d’arte che hanno come protagonista la luce/colore e che suscitano nel fruitore il sentimento del Sublime.

James Turrel, Ganzfeld Apani, Biennale di Venezia, 2011, foto Francesca Galluccio
James Turrel, Ganzfeld Apani, Biennale di Venezia, 2011, foto Francesca Galluccio

Per risalire al precedente più diretto bisogna tornare ai tardi anni 40, al tempo della definitiva emancipazione della pittura statunitense da quella europea, con l’esperienza del Color Field painting. Questo movimento tentò di rifondare su basi filosofiche la cultura e la società americana, traendo insegnamento dalla visione della Natura e dagli archetipi ereditati dagli abitanti originari dell’America, i nativi indiani.
Barnett Newman, Marc Rothko, Clifford Still, per primi allestirono grandi mostre d’arte precolombiana e fondarono una nuova estetica, iniziando a dipingere tele di grandi dimensioni con vibranti campiture di colore a monocromo, stratificato e velato di modo che la luminosità emanasse dal cuore stesso della pittura, recuperando così il concetto metafisico dell’aura, perduto tra le due guerre, e con esso la percezione della trascendenza nell’arte. Leggi tutto “54a Biennale Arte / The Turrel Experience”

Lino Tagliapietra. Il vetro nell’arte contemporanea

Lino Tagliapietra, Endeavor, Palazzo Franchetti Cavalli, 2011. Foto Francesca Galluccio
Lino Tagliapietra, Endeavor, Palazzo Franchetti Cavalli, 2011. Foto Francesca Galluccio

Si è conclusa domenica, presso il veneziano Palazzo Cavalli Franchetti (che ospiterà dal 4 giugno l’evento collaterale della 54. Biennale, Glasstress) la prima personale in Italia dedicata a Lino Tagliapietra, artista vetraio muranese apprezzato in Italia e all’estero per l’eccezionale creatività e la particolare eleganza delle sue “forme soffiate”.
La mostra, dal titolo: Lino Tagliapietra. Da Murano allo Studio Glass. Opere 1954 – 2011, promossa dall’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti, con il contributo di Regione Veneto e il patrocinio di Provincia e Comune di Venezia, verteva innanzitutto su una sezione storico evolutiva dell’artista e comprendeva una selezione di pezzi unici degli ultimi dieci anni, tra cui alcune installazioni inedite di sorprendente impatto visivo.
Nato a Murano nel 1934, nel ’56 Tagliapietra è stato maestro nella vetreria Ferro e dopo aver collaborato con Venini e La Murrina, nel ’76 è entrato a far parte della Effetre International come direttore artistico. Nel ’79 ha insegnato alla Pilchuck Glass School di Stanwood –nello stato di Washington- e in altri luoghi degli Stati Uniti, oltre che in Francia, Giappone e Australia, entrando così in contatto con differenti personalità artistiche e sperimentando quindi, pur senza rinnegare le proprie tradizioni, incredibili e personali innovazioni tecniche). Le sue opere sono esposte nei più importanti musei europei ed extraeuropei, oltre che nel Museo del Vetro di Murano.
Distintosi come uno dei più importanti  interpreti del vetro contemporaneo, l’artista esplora le diverse capacità della materia attraverso l’utilizzo di canne vitree che compone personalmente, secondo particolari cromatismi, dando così vita ad opere inedite e suggestive, talvolta completate da specifici interventi superficiali ottenuti grazie alla “molatura”.

Lino Tagliapietra, Fuji, Palazzo Franchetti Cavalli, 2011. Foto Francesca Galluccio
Lino Tagliapietra, Fuji, Palazzo Franchetti Cavalli, 2011. Foto Francesca Galluccio

Oltre ad avere una salda formazione tecnico-vetraria, Lino si è sempre e comunque dimostrato aperto all’innovazione e alla sperimentazione, trasformandola poi in un linguaggio artistico proprio e ben definito, riconoscibile anche dall’occhio meno esperto. Non si è limitato quindi, ad accettare e utilizzare le tecniche che gli sono state insegnate, ma ne ha create delle proprie. La sua esperienza negli Stati Uniti l’ha portato a conoscere e apprezzare l’arte nativa americana, tanto che alcune sue opere come gli Hopi e i Makah, si ispirano proprio ai manufatti di queste tribù, riprendendone le forme delle ceramiche o gli intrecci dei cesti. Ovunque mi sembra ci sia una sorta di “contaminazione”, se non vissuta personalmente, comunque in qualche modo recepita. Nei Masai africani appesi alla parete a mo’ di quadro (quelli dorati nascondono dettagli ispirati alla natura, come alberi, foglie e serpenti) nelle collezioni Fuji e Osaka, nelle “pennellate” dei vasi Provenza, nelle Borbolete “brasiliane” e nell’installazione Avventura, che denota il fascino del maestro per la vetreria archeologica. Leggi tutto “Lino Tagliapietra. Il vetro nell’arte contemporanea”